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I governi Ue litigano e i profughi continuano a morire

art corv20 febCorriere della sera, 20-02-2016
Fiorenza Sarzanini

Il rimpallo di accuse tra leader europei mostra che l’idea di un’Unione collaborativa sui temi cruciali — come è quello dell’immigrazione — è davvero un’utopia

Lo spettacolo penoso messo in scena ieri a Bruxelles fa ben comprendere che cosa potrà accadere nei prossimi mesi. Il rimpallo di accuse tra leader europei mostra che l’idea di un’Unione collaborativa sui temi cruciali — come è quello dell’immigrazione — è davvero un’utopia. Visto da quei barconi stipati di uomini, donne e bambini in fuga, il vertice dei capi di Stato e di governo è la prova di quanto lontani siano i politici dalla realtà.

I numeri degli sbarchi dicono che in meno di due mesi sono giunti sulle nostre coste quasi 7.000 stranieri. La maggior parte non ha diritto all’asilo perché proviene dall’area del Nord Africa, ma in attesa che si completi la procedura di identificazione ed eventualmente di espulsione, si dovrà provvedere alla loro accoglienza. Altri possono invece aspirare allo status di rifugiati. Per tutti trascorreranno mesi prima di arrivare a definire la loro posizione e dunque il futuro.

Le promesse di collaborazione degli altri Stati per un ricollocazione di eritrei e siriani giunti in Italia e Grecia si sono infrante di fronte agli egoismi nazionali. Nell’ottobre scorso la Commissione europea aveva assicurato che in due anni sarebbero state trasferite altrove 40 mila persone. L’accordo prevedeva che non ci fossero quote obbligatorie, ma tutti si erano impegnati a fare la propria parte. Non è andata affatto così, anzi. In sei mesi siamo riusciti a trovare una nuova collocazione soltanto per 300 profughi, si sono tirati indietro Paesi come la Spagna e la Francia. E c’è chi ha fatto anche peggio decidendo di ripristinare i controlli alle frontiere, vanificando così lo spirito del Trattato di Schengen sulla libera circolazione.

Da adesso in poi la situazione può soltanto peggiorare. Nel corso del vertice dei ministri dell’Interno che si è tenuto un mese fa ad Amsterdam sei Stati hanno comunicato ufficialmente l’intenzione di continuare per due anni ad effettuare la verifica dei documenti di chi attraversa i loro confini. L’elenco comprende Germania, Svezia, Danimarca, Norvegia, Francia e Austria. Vuol dire che a maggio — quando appunto sarà concessa la proroga — il trattato sarà di fatto sospeso con il rischio assai concreto di essere poi definitivamente abolito. A ciò si aggiunge infatti la resistenza messa in atto dai Paesi del gruppo Visegrad — Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca — rispetto a una politica di piena accoglienza, con la minaccia di alzare steccati pur di fermare l’ondata migratoria.

Le conseguenze per l’Italia sono facilmente immaginabili. Le partenze dalla Libia certamente aumenteranno con la bella stagione e il mare calmo. E altre “rotte” rischiano di aprirsi. Perché chi scappa dalla guerra non può fermarsi e se davvero troverà la strada sbarrata, troverà un altro modo di arrivare in Europa. Lo farà, ad esempio, passando da Albania e Montenegro e poi attraversando l’Adriatico proprio come accadeva negli anni 90. Le notizie che giungono dai Balcani dicono che gli scafisti si stanno già organizzando per gestire al meglio questo nuovo affare.

Entro qualche mese il nostro Paese corre il pericolo concreto di trovarsi isolato, stretto in una morsa, visto che al nord ci saranno le frontiere chiuse, mentre noi non possiamo sbarrare il confine più ampio che abbiamo: il mare. È bene attrezzarsi per non farsi trovare impreparati. È bene sapere, visto quanto accaduto lo scorso anno con il rifiuto di alcune Regioni a mettere a disposizione i posti letto e alcuni partiti a fomentare le proteste di piazza, che nessuno potrà tirarsi indietro.

Ognuno dovrà fare la propria parte, primi fra tutti governatori e sindaci. Sarà necessario avere strutture dove sistemare chi chiede asilo, assistere le donne, pensare ai bambini garantendo condizioni di vita accettabili. Sarà indispensabile velocizzare ulteriormente il lavoro delle commissioni che esaminano le istanze, snellire le procedure in modo da poter stabilire nel più breve tempo possibile chi ha diritto allo status di rifugiato e chi invece deve essere riportato nel Paese d’origine. Ci vorrà grande impegno, serviranno soldi.

Fa bene il presidente del Consiglio Matteo Renzi a dire che chi non collabora non ha diritto ai fondi europei, ma anche l’Italia deve rispettare le disposizioni dell’Unione sul fotosegnalamento e l’apertura dei centri di identificazione, proprio per essere credibile quando alza la voce. Perché bisogna sempre tenere a mente che mentre i governi fissano tetti di ingresso e alzano muri, i profughi continuano a morire.

Pubblicato: Sabato, 20 Febbraio 2016 12:25

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