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"Io, italiana, aggredita per il velo"

 

art esp 28 genl'Espresso, 28-01-2016
Francesca Sironi

L'hanno insultata. Denigrata. Le hanno urlato: "Beduini, tornatevene a casa". Ma lei è a casa. Perché è una donna siciliana. Musulmana. Che porta il niqab. Di fianco sua figlia aveva solo il foulard che copre i capelli. Ha osato rispondere. Ed è stata presa a schiaffi. Mentre intorno nessuno si è fermato ad aiutare. Il racconto

Miriam è una ragazza alta, alta quasi un metro e 80; ha gli occhi castani, una laurea in lingue, un fidanzato di cui tiene la foto sullo sfondo del cellulare. A 28 anni è senza lavoro, come troppi suoi coetanei, a parte le ore come baby-sitter, in nero, per tre famiglie di vicini. Abita, con i genitori e la sorella, vicino a via Palmanova, a Milano. È bella, e spaventata. Perché mercoledì scorso, mentre andava a fare la spesa con sua madre, è stata aggredita. Insultata e presa a schiaffi da un uomo in mezzo al marciapiede. In pieno giorno, vicino ad altra gente, a due passi da una piazza trafficata. Senza che nessuno si fermasse ad aiutarla.

Miriam è musulmana. Indossa il velo che copre i capelli. Sua madre invece porta il niqab, bianco, nel suo caso: quando è in strada di lei si vedono soltanto gli occhi. Il 20 gennaio, alle quattro e mezza del pomeriggio, stavano andando insieme a fare la spesa, quando un ragazzo di 30 anni, capelli castani e giubbotto arancione, ha iniziato a insultarle. Le inseguiva, diceva alla donna: «Ma lo sa che non può portare il velo per legge?». Insisteva. «Camminavamo, cercavamo di non farci caso», racconta Miriam, ora, dal divano della minuscola cucina: «Rispondevo sì, sì va bene, abbiamo fatto finta di niente, com'era già successo in passato».

Ma lui non demordeva: «Non potete andare in giro vestite così!», le urlava. Dopo pochi minuti al giovane si sono aggiunti un altro ragazzo e una signora di circa 50 anni. Insistevano. Gridavano alla madre: «Beduina, devi tornare al tuo paese!». «Mi sono stancata, durava da troppo tempo questa scena. Quindi mi sono girata e gli detto, infastidita: “Basta, allontanatevi!». E uno dei due, il secondo arrivato, alto quanto lei e con dei capelli biondi pettinati a cresta, l'ha guardata, e le ha dato uno schiaffo. Uno schiaffo abbastanza forte da lasciarle sulla guancia, a distanza di una settimana, i segni, ancora, dell'ematoma.

«Intorno a noi c'erano diverse altre persone. Nessuno si è fermato ad aiutare. Anzi, alcuni rallentavano, dicevano: “Andate via”, “Tornate al vostro paese”», racconta Angela, la madre. Il fatto che il suo paese è l'Italia. Le gridano per strada “Beduina vattene nel tuo paese”, ma la sua nazione è questa. Perché Angela è una donna italiana, di Catania, una mamma ben piantata, due figlie cresciute forti, pantofole rosa in casa, cucina saporita, che 33 anni fa è diventata musulmana e ha sposato Ibrahim, egiziano; l'uomo, seduto al tavolo, la barba lunga, trattiene a stento la collera: «Dovete chiamare la polizia subito, dovete chiamare la polizia sempre!», insiste.

Le due donne l'hanno chiamata la polizia, dopo, e hanno denunciato l'accaduto alla questura di Milano. «Sono stati molto corretti con noi», racconta Angela: «Non mi hanno chiesto di togliere il velo, hanno ascoltato la nostra denuncia con attenzione». Dei due uomini e della donna che li ha aggrediti non restano foto. «Io vorrei soltanto che pagassero per quello che hanno fatto. Si sentono forti, e sono contro tutte le donne. Vorrei che riuscissero ad arrestare chi ha preso a schiaffi mia figlia», lamenta il marito. È un signore magro, provato da una lunga malattia che lo costringe a casa per la maggior parte del giorno: «In ospedale mi conoscono da anni ormai, eppure ancora ci sono infermiere che quando mi vedono, per via della barba, iniziano con battute tipo: “hai portato la cintura?”, “vatti a far curare nel tuo paese, che qui ci portate le bombe”. Io mi infurio, e faccio relazione. Per fortuna il primario e i dottori mi hanno difeso sempre. E redarguito le irresponsabili che continuano con queste offese. Certo i messaggi politici contano, e quello che si dice alla tv... Il clima è sempre più difficile».

Angela era già stata aggredita, nel 2007, mentre tornava a casa da sola dopo aver accompagnato la figlia piccola a scuola. «Un uomo era venuto di fronte a me, apposta, dall'altra parte della strada, e mi aveva tirato il velo, come per strapparmelo. Ho resistito, e lui mi ha tirato uno schiaffo e dato un calcio. In quell'occasione tutte le donne vicine mi son venute ad aiutare, perché ero caduta. Ma lui nel frattempo era scappato», racconta Angela. La figlia di 21 anni, Khadigia, tiene il gatto Fiocco fra le braccia, commenta: «Da quella volta non è praticamente più uscita da sola». Lei ci pensa: «Non è vero: dopo un po' ho ricominciato», dice: «Con in tasca il pepper-spray».

Miriam tace. Parla poco e a voce bassa. «Era la prima volta», racconta: «Insulti sì, ma solo quando siamo in giro con la mamma, perché da sola mai». È il niqab a creare un muro, a provocare reazioni: «Sì», risponde. Anche lei ha avuto problemi di salute. È grande e fragile. «Si è spaventata. Teme di rivederlo. Che succeda di nuovo», interviene la sorella. Per fortuna, ricorda, non è tutto così: «I miei amici, ah, i miei amici non si toccano!», ride la ventunenne, che vorrebbe fare la maestra d'asilo e ha portato curriculum in tutti i nidi del comune. Anche Miriam si illumina quando mostra le fotografie sul telefono di lei e del ragazzo, un italiano, musulmano da tre anni, sul lago d'Iseo e con la famiglia di lui. E poi iniziano a raccontare dei vicini, della signora così simpatica, di quell'amica. «Le persone possono essere buone o cattive. Quello, era un aggressore razzista. E basta», dice Angela.

Pubblicato: Giovedì, 28 Gennaio 2016 13:47

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