Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie vai alla sezione

Home a buon diritto

Notizie

Tunisia, torture e test umilianti per i gay incarcerati

art rep 14 genla Repubblica, 14-01-2016
PAOLO HUTTER

La testimonianza di uno studente condannato insieme ai suoi amici dopo la denuncia del guardiano del campus. La polizia aveva trovato video gay nel computer. In prigione i ragazzi sono stati sottoposti a violenze psicologiche e fisiche

ROMA - Depenalizzazione degli atti omosessuali o effettiva applicazione dell'articolo 230 che li punisce. La partita è più che mai aperta in Tunisia, il paese che proprio in questi giorni festeggia i 5 anni della sua rivoluzione contro la dittatura. Nei primi mesi dell'anno scorso ha fatto sensazione l'esordio pubblico della associazione Shams per la depenalizzazione dell'omosessualità in Tunisia autorizzata dal governo.

Le pressioni islamiche. Ma, pressato dall'ala islamista, il governo sta facendo marcia indietro e ha disposto una sospensione di Shams, ora sotto esame della magistratura. Nell'autunno una corte ha condannato a un anno e mandato in prigione un ragazzo, Marwen, sottoposto a un "test anale" - condannato dalle Ong e da molti media per la sua assurdità. L'avvocata Fadoua Braham l'ha fatto scarcerare in appello, dove la condanna è stata ridotta a due mesi. A Kairouan il primo dicembre 6 studenti sono stati condannati a ben 3 anni di carcere. Ma il processo d'appello si svolge nella più evoluta città di Sousse, dove l'avvocata Braham è riuscita a farli scarcerare su cauzione, in attesa del processo.

Una prepotenza sconcertante. Cercando di capire meglio questa vicenda sono venuto in contatto con uno dei ragazzi scarcerati, che racconta di un gruppo amicale di 18-21 enni timidamente ma coscientemente gay, e di come l'omofobia della polizia di Kairouan e del sistema carcerario li abbiano aggrediti con una prepotenza sconcertante per la mite Tunisia. Il ventenne Jihed, uno pseudonimo, si presenta con questo testo in Internet, quasi una poesia giovanile di protesta: "Il mese e mezzo che si è appena concluso: i giorni peggiori della mia vita. Un mese e mezzo con i suoi giorni, le ore, i minuti, i secondi. Ogni giorno equivaleva a 1000 anni. La Tunisia mi ha mostrato quanto era magnifica. Mi ha permesso di crescere due volte.. Mi ha mostrato il suo secondo volto. Ero cieco? Da piccoli ci insegnavano che il mondo era bello.

"La Tunisia mi ha calpestato". La Tunisia mi ha appena privato dei miei studi, che erano la mia unica ragione di vita. Mi ero detto, dato che la mia famiglia non potrà mai festeggiare il mio matrimonio, potrà almeno festeggiare il mio successo scolastico. La Tunisia mi ha gettato in prigione a causa del mio orientamento sessuale. Mi ha calpestato. All'inizio ho cercato di mentire, con i miei altri cinque amici, dicendo che eravamo arrestati per consumo di cannabis, ma la vera causa del nostro arresto era già arrivata alle orecchie degli altri prigionieri due giorni prima del nostro trasferimento in carcere. La Tunisia ci ha fatto onore, e abbiamo ricevuto la più cordiale accoglienza: calci, insulti, torture, intimidazioni, vergogna.. La Tunisia ci ha condannato a tre anni di carcere. La Tunisia mi ha spinto a idee suicide, e c'è anche chi mi minaccia di morte. Tunisia, grazie."

Il dialogo via web
L'ho contattato sul web. Ecco il nostro dialogo:
"Sono libero, sono a casa mia, chiuso nella mia stanza, non me la sento di uscire".

Com'è che siete finiti in carcere?
"Siamo sei ragazzi della Casa dello studente a Kairouan, studenti fuori sede perché siamo della regione di Tunisi. Abbiamo fatto amicizia, sì probabilmente si può dire che siamo gay, ma non facevamo sesso, abbiamo preso l'abitudine di vederci una volta alla settimana, di cenare insieme, di scherzare, guardare video. Ma il guardiano ha chiamato la polizia dicendo che gli sembravamo strani".

Il guardiano vi ha parlato prima? Voleva qualcosa?
"No, credo pensasse che fumavamo cannabis. C'è stato anche il fatto che un nostro amico, che non è del collegio universitario, aveva litigato coi suoi, se n'era andato, era venuto a cena da noi e forse la polizia ha avuto anche quella segnalazione. Non hanno trovato niente, neanche birre (non vietate dalla legge ma dai regolamenti interni NdR) ma in uno dei computer c'erano video gay. Per quello ci hanno portati via".

E vi hanno arrestato solo per i video nel pc?
"Ci hanno tenuto tre giorni nella "piccola prigione", in commissariato. Poi ci hanno portato dal medico per il test, cioè il test anale. Io mi ribellavo non lo volevo fare ma i poliziotti mi hanno malmenato e spaventato finché non mi sono arreso. Il medico ci diceva "abbàssati come per fare la preghiera" poi ci metteva qualcosa nell'ano e guardava dentro. E ha detto che siamo gay".

Ma è incredibile...
"Sì mio dio ha detto proprio così.."

E poi cosa è successo, dopo il dottore?
"Che ci hanno portato in carcere, dove purtroppo tutti sapevano, a cominciare dai secondini, che eravamo gay. Gli abusi sono cominciati subito, a partire dalla prima notte in cui ci hanno fatto dormire per terra senza materassi né coperte. I secondini ci trattavano malissimo, ci hanno portato dal barbiere malmenandoci e insultandoci e ci hanno fatto rasare a zero. La cosa peggiore tra tutti gli orrori era che i secondini, tutte le volte che si annoiavano, ci facevano portare da loro, e in una quindicina ci torturavano per divertirsi, coi bastoni, a pedate, insultandoci, facendoci la tortura dell'acqua. Ci lasciavano andare quando eravamo stremati".

E con gli altri detenuti?
"Erano 190 in uno spazio piuttosto ristretto e sono stati praticamente aizzati dai secondini a darci contro. Una volta ci hanno creato un cerchio tutt'intorno, ci facevano domande intime provocatorie e una specie di loro capo ci dava dei colpi di bastone a seconda di come rispondevamo o per farci danzare. E di notte c'era chi ci diceva "vedrai cosa ti faccio quando chiudi gli occhi per dormire". Non potevamo mai stare tranquilli. Ci fregavano anche il cibo e i vestiti che ci avevano mandato le famiglie".

Sono accuse molto gravi, forse è meglio che con l'avvocata vi dedichiate a documentarle.
" Per cosa? Quando riesco ad accantonare i pensieri suicidi penso solo che me ne voglio andare dal paese. Io sogno solo di vivere in una casetta, andare all'università e avere qualche buon amico. Voglio scaldarmi il latte e cioccolato e guardare i film, voglio essere libero e sorridere sempre ma non ci riesco, sto piangendo tutto il tempo..".

Jihed, le organizzazioni internazionali dei diritti umani raccoglieranno queste denunce e la Tunisia non può ignorare le pressioni in questo senso.
" Vi ringrazio se ci aiuterete".

Pubblicato: Giovedì, 14 Gennaio 2016 12:58

Citrino visual&design Studio  fecit in a.d. MMXIV