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Ascoltiamo la denuncia di un uomo colpevole

art esp 14 dicl'Espresso. 14-12-2015
Roberto Saviano L'antitaliano

Rachid Assarag, marocchino condannato per stupro, ha le prove di aver subito violenze in carcere. Lo Stato di diritto vale anche per lui

"Male non fare, paura non avere”. Non esiste proverbio più fuorviante di questo. Eppure non esiste summa migliore di come vorremmo fosse la vita: una corrispondenza lineare di cause ed effetti. E in questa visione inesistente, ma semplice e rassicurante, non accettiamo in cattedra maestri che non vestano i panni canonici del titolato a dare lezioni.

Invece lezione è qualunque esperienza aggiunga elementi di conoscenza, e maestro chiunque sia latore di quel messaggio.

Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, nei giorni scorsi ci ha raccontato la storia di un uomo che non accetteremmo mai di chiamare maestro. Ma è un uomo che ha creato una rottura, che ha trasmesso parole fuori dal carcere, dove lui è detenuto, frasi, teorie, affermazioni e prassi che invece sarebbero dovute rimanere lì, per non valicare mai quei confini. Rachid Assarag è un uomo marocchino di 40 anni.

Condannato per violenza sessuale alla pena di 9 anni e 4 mesi di reclusione, che sta scontando nelle carceri italiane. È stato trasferito molte volte e in diverse circostanze è riuscito a registrare sue conversazioni con rappresentanti della polizia penitenziaria e a ottenere prova delle percosse e dei maltrattamenti subiti. On line è possibile ascoltare queste conversazioni. C’è chi le mette in dubbio per il tono pacifico. Come è possibile - dicono - che non ci sia concitazione quando si parla di percosse? Come è possibile - questo non lo dicono - che un brigadiere della polizia penitenziaria dia tante spiegazioni a un detenuto? Eppure, metterle in discussione a priori è il servizio peggiore che si possa fare a un Paese che sconta tassi di criminalità altissimi, che ha un sistema giudiziario al collasso e quello carcerario praticamente fallito. Peraltro le registrazioni e, ancor più, quel racconto dei fatti è considerato credibile da due procure, quelle di Firenze e Parma, che hanno aperto fascicoli.

Quindi Rachid Assarag, detenuto per violenza sessuale, è la persona grazie alla quale oggi sappiamo, dalla voce di un brigadiere di polizia penitenziaria, che nel carcere non si applica la Costituzione, che se la Costituzione ci fosse entrata, quel carcere (nel caso specifico quello di Prato) sarebbe chiuso da tempo. Che le percosse sono un canale di comunicazione con i detenuti i quali comprenderebbero solo con la violenza le regole da seguire. Che le carceri non rieducano, al più puniscono (male non fare, paura non avere), e comunque rendono peggiori.

So che queste mie parole saranno poco frequentate, leggere di carceri piace davvero a pochi. So che chi le frequenterà, in larghissima percentuale, non sarà d’accordo con me. So che molti vorrebbero sentirsi dire nulla ti sarà fatto se non commetterai errori. Ma non me la sento di rassicurare. Fabio Anselmo, avvocato di Assarag, chiede attenzione alle condizioni di salute del suo assistito che sta portando avanti uno sciopero della fame per denunciare le violenze subite. Anselmo dice che stiamo assistendo alla «cronaca di una morte annunciata che equivale a dire che nel nostro Paese vige la pena di morte».

Sono d’accordo con Anselmo e invito chi mi legge in questo momento a fare uno sforzo, so di chiederne uno significativo. Lo sforzo di pensare che un uomo che sta in carcere per violenza sessuale, un uomo marocchino - mi si perdonerà la precisazione, ma in questo triste momento è facile indulgere a sentimenti di razzismo - abbia diritto, nonostante la condanna e la detenzione, ma proprio in ragione della condanna e della detenzione, a una esecuzione della pena secondo Costituzione, finalizzata alla riabilitazione e al reinserimento nella società.

Il carcere si può osservare da molte prospettive. Chi ci lavora dirà cose semplici e convincenti perché in larga parte vere: i detenuti hanno poche regole e non le rispettano. I detenuti dicono tutti di essere innocenti. Ma poi ci sono le statistiche, e quelle dobbiamo usare per capire la direzione da prendere. Il tasso di suicidi di detenuti e guardie penitenziarie è altissimo, tanto alto da farci comprendere che il carcere così come è non funziona per nessuno. Il tasso di recidiva per i detenuti che lavorano è bassissimo. Quindi in carcere i detenuti devono essere occupati. Cosa manca perché si possa prendere questa direzione? Risorse? No, manca una autentica cultura del diritto. Se l’avessimo, sapremmo che anche chi ha sbagliato ha qualcosa da dire. Se l’avessimo sapremmo ascoltare.

Pubblicato: Lunedì, 14 Dicembre 2015 12:23

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