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Quei bambini uccisi dal sogno di una vita lontano dalla guerra

migranti 2Ristretti orizzonti, 10-12-2015
Khaled Hosseini*

Altri 7 piccoli tra gli 11 annegati nelle ultime ore davanti alle coste greche. La fondazione Migrantes: "Settecento i bimbi morti nel Mediterraneo nel 2015". Una conseguenza degli atroci attentati terroristici che hanno dilaniato Parigi è stata una spaventosa retorica negativa nei confronti dei rifugiati.

Parte dei media, della politica e della gente, hanno scelto di demonizzare proprio coloro che fuggono per salvarsi dagli stessi terroristi che hanno perpetrato quelle azioni ingiustificabili. Ieri, nel tentativo di raggiungere la Grecia via mare, sono morti altri 7 bambini: figli di persone che per trovare pace in Europa, non hanno potuto far altro che mettere le proprie vite nelle mani dei trafficanti. Come possiamo demonizzare proprio questa gente?

Oggi, più che mai, dobbiamo essere solidali con loro e proseguire nella meravigliosa iniziativa cui si è data prova nei mesi scorsi. Nelle vesti di ambasciatore di buona volontà dell'Unhcr, l'Agenzia dei rifugiati delle Nazioni Unite, sono stato travolto dal sostegno dato all'organizzazione in Europa, dove l'Unhcr ha messo a disposizione tende, coperte, cibo e altri generi di prima necessità alle famiglie dei rifugiati in questo periodo di emergenza.

Ma in futuro, quando le drammatiche immagini spariranno dai nostri televisori, che accadrà? Non devono sparire dalla nostra coscienza. Perché è adesso che inizia il vero lavoro. In media un rifugiato vive infatti in esilio almeno 15 anni, che si trovi in un campo in Giordania, in un insediamento improvvisato in Libano o Tailandia, o che sia dislocato negli Usa o in Europa. Periodi lunghi: per questo dobbiamo impegnarci affinché i rifugiati diventino membri produttivi e collaborativi della nostra società. Il lavoro consisterà nel garantire che abbiano accesso all'istruzione e alla formazione professionale. È nell'interesse di tutti.

Troppo spesso i rifugiati sono considerati un peso, ma nella realtà sono membri dinamici della società. Einstein era un rifugiato, come Marlene Dietrich, Madeleine Albright, George Soros, Sigmund Freud, Isabelle Allende, per citarne soltanto alcuni. Vi sono però milioni di sconosciuti non meno eroici, che lavorano tranquilli, pur in circostanze difficili e pericolose. Come Aqeela Asifi, alla quale l'Unhcr quest'anno assegna il Nansen Refugee Award a riconoscimento del suo impegno eccezionale. Nel 1992, a 26 anni, Asifi scappo' da Kabul, in Afghanistan, insieme al marito e ai figli piccoli, approdando nel campo profughi di Kot Chandana in Pakistan. Pensava di fermarsi solo pochi mesi.

Perché nel fuggire dal proprio paese ci si concentra sull'immediato, si vogliono proteggere i figli e trovare un riparo sicuro. Si pensa a sopravvivere. Ci vuole tempo per elaborare il fatto che tornare a casa è un sogno remoto; che la vita deve ripartire da zero. Quando questo si accetta subentra un cambiamento: si passa alla resilienza che si accompagna alla determinazione a crearsi una nuova vita. Essendo un'insegnante, Asifi non voleva lasciare i suoi figli e altri bambini senza istruzione.

Dopo aver ottenuto il sostegno degli anziani del villaggio convinse i genitori riluttanti a permetterle di diventare la maestra delle loro figlie. Così, con 20 alunne, una tenda, testi scritti a mano su comuni fogli di carta e una fiera determinazione, avviò una scuola. Quella piccola scuola ha prosperato e ricevuto finanziamenti dal governo pachistano: si è allargata a sei tende iniziando ad accogliere anche le bambine pachistane. Oggi è un edificio vero: dove Asifi ha trasformato la vita di oltre mille bambine e incoraggiato l'apertura di altre 6 scuole, che accolgono altri 1500 bambini e bambine.

Sono uno scrittore e credo più nella forza delle parole che in quella dei numeri. Ma qui, ai margini della favola di Asifi, sono vergate cifre che non possiamo ignorare. L'Unhcr sa che gli afgani colti hanno tre volte di più la possibilità un domani di tornare a casa. L'istruzione, invece di incatenare i rifugiati al Pakistan, è stato il fattore che ha spinto la gente a tornare in Afghanistan. L'istruzione tutela i figli dei rifugiati dall'analfabetismo, dai maltrattamenti, dallo sfruttamento e dal lavoro minorile, dai matrimoni precoci forzati, dal reclutamento dei gruppi armati. L'istruzione offre un percorso per uscire dalla povertà, competenze per costruire per sé e per la loro patria un futuro stabile e prospero.

Nel mondo oltre il 50% dei rifugiati è formato da bambini. Eppure, solo uno su due frequenta le elementari. E solo un adolescente su quattro ha un'istruzione scolastica superiore. Per questo mi auguro che quando i riflettori sulla crisi si spegneranno la buona volontà nei confronti dei rifugiati resti forte. Spero che ci ricorderemo che non hanno bisogno di aiuto solo in emergenza ma della speranza di un futuro, come tutti noi. Spero che ricorderemo che i rifugiati lasciano contributi importanti e duraturi nei paesi che li ospitano. E che investire nel loro futuro significa investire anche nel nostro.

La Repubblica, 10 dicembre 2015

*Khaled Hosseini è Ambasciatore di buona volontà dell'Unhcr, l'Agenzia per i rifugiati dell'Onu. Traduzione di Anna Bissanti

Pubblicato: Giovedì, 10 Dicembre 2015 17:18

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