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“Il fine vita”: Di Masi racconta il popolo di chi vuole morire dignitosamente

art unità 29 novl'Unità, 29-11-2015

Cinzia Ficco
@cinzia_ficco

Il turismo dell’eutanasia è in aumento e sembra essere riconosciuto solo a chi può permettersi di pagarlo

“E’ nulla il morire. Spaventoso è non vivere”. Victor Hugo

A quale potere spetta oggi mettere al bando la vita? Chi oggi è sovrano del corpo di un cittadino sofferente? E quali certezze il diritto può dare ai malati e ai curanti?

A queste domande prova a dare una risposta il libro pubblicato di recente da Ediesse, intitolato: “Il fine vita”, scritto in due anni da Maurizio Di Masi, nato nell’84 a Castellana Grotte, in provincia di Bari, avvocato a Perugia, con un dottorato di ricerca in diritto privato e nuove tecnologie presso l’Università di Bari, assegnista di ricerca presso l’Università di Perugia, dove collabora con la Law Clinic “Salute, Ambiente e Territorio”.

Poco meno di 300 pagine, in cui, partendo dai casi di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro, l’autore riporta le nuove sentenze in materia di fine vita e chiede con altre associazioni una legge che riconosca ai malati il diritto all’autodeterminazione. “Anche perché – fa sapere – il turismo dell’eutanasia è in aumento. E sembra essere riconosciuto solo a chi può permettersi di pagarlo. Sono migliaia i malati in Italia che chiedono di poter morire in modo dignitoso, quando la terapia del dolore e le cure palliative non sono più sufficienti. Occorre dare una risposta. In questi giorni, poi, l’Associazione Luca Coscioni sta portando avanti la campagna di sensibilizzazione #iostoconmax, a sostegno del malato di Sla Max Fanelli. Non si può più attendere.

Sono diversi i progetti di legge che giacciono da tempo in Parlamento. I più interessanti?

– Il disegno di legge 1088 di iniziativa dei senatori Luigi Manconi, Sergio Lo Giudice e Francesco Palermo, depositato presso il Senato della Repubblica il 27 febbraio 2014 («Norme per la legalizzazione dell’eutanasia») e il disegno di legge 13 del 2013, depositato presso il Senato della Repubblica il 15 marzo 2013 dal senatore Luigi Manconi («Norme in materia di relazione di cura, consenso, urgenza medica, rifiuto e interruzione di cure, dichiarazioni anticipate»), che recepisce la proposta del Gruppo di ricerca “Un diritto gentile”, coordinato dal professore Paolo Zatti.

Che differenza c’è tra i due disegni di legge?

– Il primo progetto di legge si propone di legalizzare l’eutanasia attiva consensuale, vale a dire di escludere qualsiasi tipo di responsabilità penale, civile e deontologica per il sanitario che aiuti il paziente (maggiorenne e capace di intendere e volere) a morire su sua chiara richiesta. La proposta di legge del Gruppo “Un diritto gentile”, invece, punta a disciplinare il procedimento del consenso informato nel rapporto medico-paziente, anche al di là dello specifico caso dei malati terminali.

Come dovrebbe essere una buona legge?

– Una buona legge sul fine vita non deve imporre soluzioni univoche per tutti, ma permettere a ciascuno di determinare la propria vita nel modo conforme ai propri ideali. Pertanto una buona legge tutela tanto il cattolico intransigente, il quale potrà decidere di essere sottoposto a tutti i trattamenti e a qualsiasi condizione, quanto il laico che potrà decidere, invece, di terminare la propria esistenza nella maniera ritenuta da lui maggiormente dignitosa. Inoltre una buona legge dovrebbe tenere insieme il pubblico e il privato.

Cosa intendi?

– Lo Stato non deve lasciare solo il cittadino che chiede di morire. La libertà di determinare la fine della propria vita deve essere presidiata dal servizio sanitario che dovrebbe avere il compito di seguire e garantire al morente il massimo della dignità sino all’ultimo respiro. Il pubblico deve quindi rinunciare a criminalizzare alcune condotte del personale sanitario, sostenendo di più i malati terminali.

Oggi la fine della vita è disciplinata dal diritto penale. Con quali conseguenze?

– Dal punto di vista legislativo non si fa alcuna differenza tra assassinio e morte medicalmente assistita. Oggi, il sanitario che dovesse assecondare la richiesta, ponderata e lucida, di un malato terminale di porre fine alla propria esistenza, va incontro a sanzioni penali assai gravi. Il malato non può chiedere a nessun medico di attivarsi per accompagnarlo verso una morte dignitosa. Il morente quindi ha solo una possibilità di uscita: ricorrere al suicidio assistito all’estero, dove la morte medicalmente assistita è già una realtà praticabile. Ma solo se può permetterselo dal punto di vista economico.

I disegni di legge giacciono in Parlamento, ma il principio all’autodeterminazione è ben consolidato nella giurisprudenza.

– Sì, tanto della Corte costituzionale quanto della Cassazione e del Consiglio di Stato, che si è pronunciato in merito al caso Englaro nel 2014. La giurisprudenza costituzionale e di Cassazione riconosce ormai da moltissimi anni il diritto di rifiutare le cure, anche se salvavita. Dal 2010 i malati terminali hanno la possibilità di accedere alla terapia del dolore e alle cure palliative, tecniche che eliminano la sofferenza, ma che non sempre sono in grado di preservare la dignità del singolo paziente, il quale rischia di rimanere in un limbo fra la vita e la morte per tanto tempo e spesso sotto sedativi.

E’ possibile e quanto è utile individuare un amministratore di sostegno?

– Certo, è possibile ed è quello che rappresenta un soggetto in caso di futura incapacità. Gli si attribuisce il potere di consentire o dissentire rispetto a determinati trattamenti sanitari. Ma tale strumento è ancora imperfetto e non paragonabile al testamento biologico poiché il potere di nomina dell’amministratore spetta al giudice tutelare. Nei casi più delicati si pone, poi, il problema di determinare i confini dell’accanimento terapeutico e di stabilire se l’idratazione e l’alimentazione artificiale sono trattamenti sanitari. Questioni molto complesse.

Tante resistenze al diritto all’ autogoverno perché la dottrina cattolica è contraria e nega la disponibilità della vita?

– Sì, la dottrina cattolica ritiene la vita un dono di Dio. Però non mancano voci contrarie, come quella del teologo cristiano Hans Küng, il quale sostiene il diritto di ogni persona di scegliere in modo responsabile quando e come morire. D’altra parte autodeterminazione è anche questo: responsabilità delle proprie scelte. Dal diritto alla vita non deriva mai il dovere di vivere o il dovere di continuare a vivere in ogni circostanza. Come osserva lo stesso Küng nel suo ultimo libro (Morire felici? Rizzoli, 2015). L’aiuto a morire va inteso come estremo aiuto a vivere. Insomma, il morente deve smettere di essere homo sacer, secondo un’espressione del filosofo Giorgio Agamben, conteso tra Stato, medico – scienziato e famiglia e lo Stato non deve più minacciare l’obbligo alla vita.

Anche se il malato si trova in uno stato di estrema fragilità?

– Certo. Nella fase finale della propria esistenza la persona viene privata di libertà e diritti fondamentali che, se fosse in salute, le sarebbero riconosciuti. Non si può concepire il malato come oggetto. Tanto è vero che il diritto di consentire ai trattamenti medici è riconosciuto anche a soggetti non pienamente capaci di intendere e di volere a partire dalla nota legge Basaglia sui malati psichici (legge 180 del 1978). Diverso è il caso di persone non in grado di esprimere la propria volontà poiché incoscienti o in coma o in stato vegetativo: è in questi casi limite che si fa necessaria una disciplina delle direttive anticipate di trattamento.

Dicevi che il turismo dell’eutanasia è in aumento.

– Esatto. La Svizzera rimane la meta senza dubbio più vicina, ma sono diversi i Paesi che stanno disciplinando la materia. Fra le legislazioni più permissive, i Paesi Bassi permettono il suicidio assistito anche ai minori a partire dai 12 anni, mentre il Belgio, con legge del 13 febbraio 2014, legalizza l’eutanasia attiva consensuale per qualsiasi minore di età, purché ci sia il consenso anche dei genitori o del tutore, il minore sia cosciente e dimostri capacità di discernimento, oltre ovviamente a dover essere affetto da una malattia terminale e soggetto a sofferenze costanti e insopportabili. In Canada la Corte Suprema ha riconosciuto nel febbraio 2014 la legittimità del suicidio assistito. Negli Stati Uniti d’America la morte medicalmente assistita è legale in alcuni Stati, tra cui: Montana, Oregon, Vermont, Washington e, da qualche settimana, anche in California. In Italia, invece, facciamo fatica a parlare di autodeterminazione per un deficit di laicità che definirei strutturale. Una laicità che non si fa sentire né rispetto ai poteri religiosi, né rispetto ai poteri scientifici e di mercato forti, che puntano alla medicalizzazione della vita. Per fortuna mantengono vivo il dibattito pubblico tante associazioni: “Luca Coscioni”, “Exit Italia”, l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti e la Fondazione «Veronesi», solo per citare le più note.

E l’Unione europea non ha competenza ad emanare una direttiva o un regolamento in questo ambito?

– No. Anche se ci sono: l’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e le politiche sanitarie europee che, a partire dalla raccomandazione del Consiglio d’Europa del 25 giugno 1999 (numero 1418), individuano un rappresentante legale del paziente che possa assumere, in sostituzione dell’interessato, decisioni basandosi su precedenti dichiarazioni formulate dal paziente stesso. Il Consiglio d’Europa, in ogni caso, invita gli Stati a fare rispettare le direttive anticipate o living will rilasciate dai malati incurabili o dai morenti, ormai incapaci di esprimere la loro volontà, per rifiutare certi trattamenti sanitari. E poi ci sono alcuni documenti emanati nel 2012 dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.

Una buona legge richiederebbe una rivoluzione culturale, e soprattutto, una rivoluzione della nostra organizzazione sanitaria?

– Una buona legge non comporterebbe una rivoluzione dell’organizzazione sanitaria, che già oggi è chiamata a garantire le cure palliative e la terapia del dolore. Quanto alla rivoluzione culturale, sono ottimista. Credo che gli italiani siano pronti ad accogliere una legge sul fine vita.

Pubblicato: Mercoledì, 02 Dicembre 2015 14:14

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