Una difesa poco legittima
L'Unità, 31-10-2015
Luigi Manconi e Federica Resta
A distanza di poco più di una settimana dal delitto di Vaprio d'Adda, dove il sessantacinquenne Francesco Sicignano ha ucciso con un colpo di pistola il ventiduenne Gjergi Gjonj, una prima e desolata considerazione, è inevitabile. Nonostante la raccomandazione ossessivamente ribadita da tutti i telefilm americani sulla necessità di "non inquinare la scena del crimine", lì in quella casa di Vaprio la scena è stata, da subito, profondamente manipolata.
E, infatti, appena poco dopo l'accaduto, dal teatro del delitto scompare definitivamente il corpo della vittima. Non c'è più, se mai c'è stato. E nemmeno più due vittime (quello che spara e quello a cui si spara) bensì una sola: lo sparatore sottoposto a indagine giudiziaria: e, prevedibilmente, a una serie di procedure e adempimenti che potrebbero rivelarsi faticosi e onerosi. La rimozione, in tutti i sensi del corpo di Gjonj sarebbe comunque assai preoccupante, seppure decidessimo di "schierarci" esclusivamente dalla parte di Sicignano, riconoscendogli tutte le attenuanti e chiedendone l'immediato proscioglimento.
E diciamo questo non per semplificare una situazione estremamente controversa, bensì per evidenziare come il prevalere del furore ideologico rischi di alterare totalmente la verità dei fatti, alla lettera cancellando uno dei soggetti della tragedia. E tale verità - in cui pure vogliamo considerare la percezione di insicurezza e l'allarme avvertiti in molte aree sociali e la difficoltà di definire il perimetro della legittimità delle azioni in circostanze di pericolo - non può essere scissa dalla faticosa ricerca di un'equità giuridica e dall'ineludibile constatazione di una vita spezzata.
E va fatta una seconda riflessione: è emerso tutto il Conformismo Nazionale, che si compiace di presumersi politicamente scorretto, immaginandosi narcisisticamente come espressione di una mentalità osteggiata e non rappresentata dalle élite politico-culturali. E così quel Conformismo Nazionale finisce col precipitare nel perbenismo più triviale. Siamo alle solite: un'opinione assai diffusa, quale quella sintetizzabile nel "farsi giustizia da sé", si pensa come vittima di un Politicamente Corretto che sarebbe egemone in Italia. E, dunque, si presenta come contro corrente proprio nel momento in cui blandisce gli umori e le idee più oscuramente convenzionali e più sottilmente diffuse. Ma tutto questo è dozzinale sub-ideologia.
Per quanto riguarda, invece, il merito più strettamente giuridico, l'accusa mossa a Sicignano può essere spiegata così. Egli è indagato non per omicidio colposo (da eccesso di legittima difesa) ma volontario, in quanto avrebbe sparato al ladro, disarmato, in fuga. Il fatto di aver ucciso non per difendersi da un'aggressione in atto farebbe allora venir meno l'esimente della difesa, appunto, legittima che, come tale, deve essere necessariamente proporzionata all'offesa. Il nostro codice penale (emanato durante il fascismo) ammette, infatti, l'aggressione (fino al sacrificio della vita altrui) solo quando sia indispensabile per la salvaguardia dell'incolumità propria o di terzi da un pericolo "attuale", sempre che "la difesa sia proporzioniata all'offesa".
Nel 2006, il Governo Berlusconi ha alterato fortemente l'equilibrio sancito dal codice Rocco, ritenuto adatto a una società composta da famiglie numerose, in condizione, anche "quantitativa", di sopraffare l'aggressore, ma - secondo una tesi avanzata nel dibattito parlamentare - inadeguato alla realtà di oggi, fatta di nuclei familiari sempre più esigui. Si è, dunque, estesa la non punibilità per legittima difesa anche alla tutela, in casa o negozi, di beni patrimoniali, purché vi sia pericolo di aggressione.
E questo, secondo quella tesi; compenserebbe l'assenza di "difesa collettiva" dovuta all'evoluzione delle strutture sociali. Veniva sancito, così, un mutamento importante, culturale prima che giuridico: a certe condizioni, la difesa della proprietà può valere anche la vita dell'aggressore. Ma ciò sembra ancora troppo poco a quanti propongono di andare oltre, escludendo il requisito della proporzionalità tra difesa e offesa.
Sarebbe una modifica profonda, in primo luogo (ma non solo), del nostro modo di intendere il rapporto tra diritto e forza; e tra giustizia e vendetta. È, infatti, soltanto il requisito della proporzionalità tra azione e reazione e della necessità di difesa da un pericolo attuale a poter impedire che la legittima tutela della propria incolumità degeneri in licenza di uccidere. Il farsi giustizia da sé non può essere la naturale conseguenza - come invece alcuni sostengono - dell'inadempimento dello Stato al suo dovere di prevenire i reati (che - affermava Hobbes - nessuna legge potrà mai impedire).
D'altra parte, secondo Locke, oltre che secondo lo stesso Hobbes, la legittimità dello Stato si fonda sul patto tra cittadini e sovrano per la garanzia della sicurezza, purché ciascuno rinunci a farsi giustizia in proprio. Lo Stato moderno nasce, infatti, come promessa di sicurezza in cambio del monopolio della violenza legittima da parte dello Stato, al quale soltanto è devoluto il potere di "rendere giustizià, in nome dei cittadini e per loro conto.
La storia delle codificazioni moderne è la storia del tentativo di sostituire all'arbitrio della forza la certezza del diritto e, con esso, di limitare il potere per garantire le libertà di tutti. In altre parole, in discussione non c'è solo la nostra rappresentazione della democrazia, e della giustizia. E non si tratta "soltanto" di declinare il rapporto tra sicurezza è diritti, in modo da non ridurlo a un gioco a somma zero. In discussione c'è, soprattutto, il valore che attribuiamo alla vita umana.
Fonte immagine: fiumidacquaviva.wordpress.com