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Passaggio a livello: Direzione Sud

mediterraneo 216-04-2015
Ubaldo Pacella

Questi giorni sono pervasi da commenti meno effimeri di quelli legati alla vita politica e sociale italiana. Quest’ultima continua a segnare il passo, scivolando pericolosamente in una involuzione vista e sperimentata già troppe volte. Ci soccorreranno queste note, al momento opportuno, quando i tormenti della politica italiana torneranno a primeggiare rispetto ai grandi interrogativi che animano le menti e i cuori dei nostri concittadini e di quelli dell’Europa.
Desta sconcerto e stupore il silenzio imbarazzato che la comunità europea, Italia compresa, ha riservato alle lapidarie parole del pontefice Francesco sul genocidio degli armeni.

È sempre difficile fare i conti con la storia, lo sappiamo bene da modesti studiosi e cultori di questa disciplina, tuttavia è un passaggio imprescindibile perché una comunità possa crescere nella consapevolezza, nella libertà, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona.
Il richiamo del Pontefice nei confronti di una violenza etnica perpetrata giusto un secolo fa, parla dei fatti di oggi. Scuote le coscienze di fronte ai massacri e alle violenze che insanguinano e lacerano il Medioriente, la penisola arabica e l’Africa. Una guerra civile musulmana che strumentalmente rivolge il suo volto più orrendo verso la minoranza cristiana nel tentativo, sino ad ora riuscito, di condizionare l’Occidente, costringerlo in una posizione difensiva e, nel contempo, fare proselitismo nelle masse dei diseredati, mistificando ogni tipo di considerazione religiosa, sino ad oltraggiare il senso vero del Corano e dell’Islam.
Volgere lo sguardo lontano da efferatezze e problemi reali non aiuta minimamente la comunità internazionale ad individuare soluzioni e antidoti ad un terrorismo che colpisce all’unisono la cultura, le idee, la solidarietà umana in una visione di cupio dissolvi che avvolge l’attuale deriva terroristica in un insensato ricorso all’odio e al terrore diffuso.

La politica estera delle grandi potenze internazionali e di tutto l’Occidente è costellata di insuccessi e disastri da oltre venti anni. Poco o nulla si è capito delle reali esigenze che muovevano gli scacchieri regionali. La superficialità con la quale si è immaginato di esportare una democrazia complicata - e forse inadatta - sulla punta delle baionette ha di fatto spazzato via le vecchie elite moderate nelle aree di conflitto e lasciato libero campo alle peggiori pulsioni, come pure a commerci e finanziamenti perversi, sino a quello più osceno della tratta di esseri umani. Nessuno, tuttavia, ha ancora il coraggio di ammettere questi fallimenti, di confrontarvisi per arginare la deriva e prefigurare nuove scelte, moderne, inclusive e solidali.

La necessità di non inimicarsi totalmente l’appoggio turco sullo scacchiere siriano non può essere contrabbandata con il silenzio delle coscienze. Un Paese in bilico tra un nazionalismo islamico e una vocazione europea deve prefigurare un percorso socioculturale in grado di favorire nuove forme di collaborazione. Queste non possono che partire dalla realtà storica, anche la più sgradita come quella del massacro degli armeni, che nessuna cancelleria internazionale può disconoscere o ignorare proprio perché segna un doloroso spartiacque tra un modello ottocentesco di convivenza civile e la follia nazionalista che in quegli stessi anni ha insanguinato le pianure europee e aperto la strada alle più grandi stragi mai perpetrate nella storia dell’umanità.

Venti e più anni di guerre regionali o non convenzionali non possono essere ignorati. Lo spirito inclusivo, solidale sul quale si è costruita l’identità dell’Europa unita e dell’Occidente, sembra essere travolto da un concetto predatorio dell’economia e della finanza. La globalizzazione è stata interpretata, non nella chiave di progresso e riequilibrio dei popoli con più difficoltà, bensì come grimaldello per regolare i conti con la politica e la responsabilità sociale, eludendo diritti fondamentali conquistati in Occidente negli anni ’60 e ’70, gettando strumentalmente nella mischia nuovi popoli per fiaccare i diritti di quelli più fortunati. Si è sostituita una finanza aggressiva e sfruttatrice ad una industrializzazione selettiva ed equa. Il risultato è stato quello di mettere in crisi la tenuta sociale e politica dell’Europa e di larga parte dell’Occidente senza aver favorito, d’altro canto, lo sviluppo civile, culturale, di valori dei nuovi popoli. Dimenticati ieri, sfruttati oggi, senza voce e senza diritti.

L’uso perverso della pressione migratoria tende, per contro, a disarticolare il normale funzionamento della società civile europea, con il fine non troppo recondito di esasperare le pulsioni populiste e le politiche aggressive di discriminazione. Le risposte non possono che essere molteplici, sia sul piano internazionale, sia su quello della solidarietà e dell’accoglienza. L’Occidente deve imparare ad utilizzare con pienezza entrambe le sue mani: da un lato quella accogliente, dall’altra quella ferma e rigorosa per stroncare i traffici di essere umani, il commercio delle droghe, il mercato nero del petrolio e tutte le malversazioni che alimentano finanziariamente ogni vena del terrorismo.

Dobbiamo aver chiare queste due linee strategiche, non in conflitto tra loro bensì capaci di delineare un orizzonte comune di migliore gestione delle priorità internazionali. Disconoscere i problemi non servirà a nulla, se non a trovare Italia ed Europa coinvolte in un affannoso, sbilenco e pertanto assai più pericoloso tentativo di frenare il traffico di esseri umani sulla frontiera del Mediterraneo.
Stabilizzare le coste nord Africane e meridionali del bacino del Mediterraneo non è cosa da poco, né sarà indolore. È una necessità che dobbiamo attuare determinazione e coraggio, compreso un uso misurato della forza contro malfattori, terroristi e mercanti di morte e di esseri umani. I deboli vanno sostenuti e aiutati, gli sfruttatori duramente repressi, il tutto in un’organica visione di moderna politica estera che riconduca ad un orizzonte di tolleranza e di sviluppo socioeconomico. Le diverse anime che attraversano e si scontrano in quella regione devono trovare un accordo per mettere fine alla minaccia terroristica che destabilizza intrinsecamente l’Africa e il Medioriente e non potrà essere estirpata senza la convinta partecipazione delle elite di potere in tutto quello scacchiere geografico.

Non dobbiamo farci cogliere ulteriormente impreparati. Nessuna risposta emotiva saprà essere efficace. Il modello di civiltà costruito sui diritti inalienabili dell’uomo, che l’Occidente tenta affannosamente di proporre alle proprie genti e al mondo, è in grado di superare gli scogli insidiosi di questa crisi. Lo possiamo fare, lo dobbiamo pretendere con il cuore e con la lucidità del pensiero, senza cadere nella trappola del populismo o del rigetto. La difesa dei valori della nostra comunità e civiltà non è un atto di arroganza, bensì un dovere nei confronti di tutti i cittadini del mondo. Quelli che hanno maturato la consapevolezza del primato della libertà e della vita e coloro per i quali queste parole rappresentano ancora un sogno da raggiungere a rischio della vita e di ogni violenza. Il Mediterraneo non è il confine della disumanità. Erigere barriere non serve a nulla, se non si contrastano le ragioni della violenza, lì dove essa nasce e si alimenta per un coacervo di motivi che purtroppo la politica sottovaluta o dimentica.

Fonte immagine: www.claudiocolombo.net

Pubblicato: Giovedì, 16 Aprile 2015 12:15