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Passaggio a livello: Etica pubblica e giustizia penale

giustizia25-03-2015
Ubaldo Pacella

Il centro della scena, una volta di più, è occupato dalla magistratura. La polemica politica, attenuata dalla mancanza di dialettica costruttiva da un lato, di provvedimenti spinosi per il circolo autoreferenziale dei partiti dall’altro, lascia spazio alla necessità, vanamente inseguita, di contrastare nei modi più incisivi ed efficaci la corruzione, il malaffare, la dispersione dei fondi pubblici in migliaia di rivoli incontrollati.

La magistratura da oltre vent’anni continua ad incalzare la politica condizionandola sovente attraverso il nodoso randello della persecuzione della corruzione.
L’inchiesta che ha portato alle dimissioni del Ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi e in carcere l’arcinoto e da tutti stimato boiardo dei lavori pubblici Ercole Incalza, insieme al collettore privato di tangenti Stefano Perotti, mentre sono ai domiciliari l’imprenditore Francesco Cavallo e il segretario di Incalza, Sandro Pacella (solo omonimo), questo a stare alle accuse rivoltegli dai magistrati fiorentini Pezzutti e Mione, ripropone annosamente il tema mai affrontato con lucidità e sapienza dei ruoli ben differenziati del potere politico e di quello giudiziario. Una volta di più vanno fissati paletti precisi ed evitando, che il confronto a distanza tra magistratura e politica tracimi in uno scontro di potere inaccettabile, nel tentativo dell’una o dell’altra parte di prevalere condizionando scelte ed interventi. Il tutto produce inevitabilmente polveroni mediatici, polemiche infinite, acrimonie velenose, ma mai decisioni legittime, norme precise e inattaccabili, leggi eque e modelli di funzionamento della giustizia efficiente.

Avranno di certo ragione sulla corruzione i magistrati che conducono l’inchiesta sugli appalti pubblici delle infrastrutture. Ci aspettiamo proprio per questo che le prove su cui fondano la loro azione, sempre meritoria quando coglie il malaffare, siano più solide convincenti di quelle che trapelano sui mass media in modo superficiale, persino grottesco in qualche risvolto, comunque confuso, tale da alimentare il fuoco della polemica senza cogliere il centro della questione: moralizzare la gestione pubblica ad ogni livello, su tutto il territorio nazionale attraverso norme di legge, ma soprattutto scelte di indirizzo pratico di cristallina trasparenza e di lapidaria concisione.
Questo è il vero nocciolo della questione su cui non è mai stato posto un accento operativo. Tocchiamo con mano gli effetti devastanti di una crisi economica di sistema, aggravata in Italia, da un profilo sociopolitico precario, dalla corruzione endemica, dal cattivo o pessimo funzionamento della macchina pubblica e in larga parte dei servizi.

La corruzione crea così una miscela esplosiva, insieme all’evasione fiscale e a un sottobosco perverso di malaffare. Nasce dalla mancanza di trasparenza e di regole anche una precarizzazione del lavoro, il fenomeno gravissimo dell’occupazione in nero, ogni sorta di illecito amministrativo. Regole farraginose, poco chiare, contraddittorie e in molti casi inapplicabili lasciano praterie sconfinate a rimaneggiamenti, interpretazioni e ai maneggioni di turno. Il ruolo della burocrazia diviene così cruciale, snodo effettivo di denaro pubblico e dell’applicazione di ogni indirizzo politico. Bisogna superare il concetto di gare al massimo ribasso perché stravolgono ogni corretta concorrenza. Moltissime di quelle aggiudicate non coprono nemmeno parzialmente il costo del lavoro al minimo contrattuale. Dove guadagnerà in questo caso l’impresa? Lavoro nero e varianti diventano obbligatorie. Non a caso raramente grandi imprese estere partecipano o vincono gare in Italia. Sarà un caso, protezionismo o ben altro? Disse 25 anni fa Lorenzo Necci: vanno messi a gara solo progetti esecutivi curati in ogni dettaglio, dove non siano ammesse varianti perché su queste lo Stato perderà sempre. Una facile profezia mai ascoltata, la scusa è che in Italia non si realizzerebbe mai nulla perché il processo decisionale è talmente frammentato da rendere impossibile questa modalità. Siamo convinti del contrario, non si vuole migliorare il sistema perché questo è funzionale a molti noti, e ancor più agli ignoti.

Occorre, pertanto, operare una trasformazione immediata prima ancora nelle procedure che negli aspetti legislativi per i quali, come sappiamo da decenni, i tempi sono infinitamente lunghi come le mani delle lobbies che scrivono e riscrivono codicilli ed emendamenti sino a dar vita ad un corpus giuridico abnorme e contraddittorio di cui ci si rende conto solo all’atto dell’applicazione. Leggi, per altro, direttamente influenzate da quella alta burocrazia corporativa il cui potere surrettizio va eliminato o quanto meno drasticamente contenuto, attraverso il sacrosanto ricorso ad una rotazione degli incarichi e ad una progressiva valorizzazione delle professionalità più giovani.

Tutto questo non può farci passare sottotono alcuni modelli comportamentali dei giudici. Argomento di infinita delicatezza ma sempre più cruciale sia per il corretto funzionamento della politica, sia per una divisione dei ruoli tanto chiara quanto reale. Oggi così non è. I magistrati hanno, oltre ad una naturale e sempre garantita indipendenza, una totale libertà, ben oltre i confini storici e filosofici scanditi dalle leggi. Il loro è un compito di raro equilibrio ed interesse ma proprio per questo non può essere avvolto da nebbie o cortine fumogene, deve risultare cristallino dagli atti. Ebbe a dire qualche decennio fa un primo presidente della Corte di Cassazione, sollecitato da Indro Montanelli per un’intervista, che i magistrati tacciono, per loro devono parlare solo le sentenze. Una linea forse parruccona ma di rigoroso buon senso. Siamo spettatori del fatto che oggi troppo spesso avviene il contrario. Conferenze stampa a ripetizione, atti processuali che filtrano sui giornali quando si vuole, senza che nessuno faccia argine, tranne casi “lodevoli” come quello del Monte dei Paschi di Siena, che non ha offerto ai lettori o agli spettatori italiani il briciolo di una intercettazione telefonica o il profluvio di retroscena che nessuna smentita può fermare.

La libertà personale sulla quale intervengono i magistrati è un valore primario da trattare con cura.
Si avverte, nel maneggiare quest’ultima inchiesta sulla corruzione al Ministero delle Infrastrutture, una sorta di recita a soggetto per la quale si cercano prove. Nessuno può aver dubbi sul fenomeno collusivo e sulla poca trasparenza degli appalti pubblici dove si creano interessi, carriere, fortune aziendali, o dove si concretizzano ostracismi che determinano l’esclusione permanente di persone e società da ogni appalto pubblico. Quest’argomentazione deve tuttavia essere concretamente dimostrata con atti processuali immediati e trasparenti. Sentire a questo proposito le dichiarazioni del Presidente dell’Associazione Magistrati, Rodolfo Sabelli, pronunciate in una seguita trasmissione televisiva la mattina dopo l’annuncio dello scandalo, nelle quali ha affermato che lo Stato prende a schiaffi i magistrati, mentre accarezza i corrotti, fa venire i brividi. Trovo simili affermazioni di una inaudita gravità per un magistrato che è sempre un servitore dello Stato, qualsiasi ne sia la qualifica e il ruolo. Richiamare in questo senso non l’azione o le responsabilità di un Governo ma quella dell’intera collettività nazionale è deprecabile quanto inutile, fondamentalmente falso. La stragrande maggioranza dei cittadini italiani chiede giustizia equa e rapida, prima ancora dei magistrati, e lo chiede proprio a quei giudici che troppo spesso non la realizzano.

Dobbiamo avere il coraggio di porre fine a questo insano braccio di ferro tra politica e magistratura. Non saranno una manciata di giorni di ferie o un’ineccepibile richiamo alle responsabilità dei giudici rispetto al loro operato a minacciarne l’indipendenza e il lavoro. Il tanto sangue versato da integerrimi magistrati merita un rispetto e un plauso che non possono essere inquinati dalla difesa strenua di modeste rendite di posizione. Queste norme, così ferocemente contestate e invise alla categoria giudiziaria, sono poca cosa rispetto a quanto si dovrebbe fare per fornire un assetto moderno ed incisivo alla magistratura nonché a tutto il codice civile e penale. Questo è uno dei passaggi cruciali della modernizzazione del Paese nel segno dell’equità e nel rispetto degli inalienabili valori individuali.
Chi scrive non si è mai piegato in epoca repubblicana al tintinnar delle sciabole, né accetterà mai il tintinnar delle manette.

Il rendere pubbliche intercettazioni telefoniche con persone nemmeno indagate, penso al caso dell’ex ministro Maurizio Lupi, ma ne potremmo trovare decine e decine di persone in questi anni, non giova minimamente né alla verità nè al processo, tanto meno ai magistrati. È un pubblico ludibrio cui sottoporre ora questo ora quel cittadino, al riparo da responsabilità per il diritto di cronaca sacrosanto del giornalista e per il magistrato che non aveva nemmeno inquisito il soggetto.
Non ho mai apprezzato il processo sommario giornalistico che inevitabilmente ha un peso sociale più forte e responsabile di quello che avverrà con infinite lungaggine e tortuosità nelle aule giudiziarie. Chi ricorda il mitico Direttore Generale del Ministero Della Sanità Poggiolini, accusato di molte tangenti e con soldi e gioielli nascosti nel salotto di casa? Eppure in molti processi è finito assolto, magari per prescrizione. Chi è il responsabile di tutto ciò? Conosciamo di persona molti onesti e integerrimi individui, cui dopo anni di calvario giudiziario non è stato detto dalla Stato nemmeno: “Scusi ci dispiace!”.
È ora che i processi si facciano entro pochi giorni dall’arresto per le prove inconfutabili già raccolte. Il diritto di cronaca si esercita in questa sede. Tutto ciò comporta la riforma generalizzata dei codici civili e penali? La si faccia con la stessa determinazione che oggi il governo Renzi applica alle leggi costituzionali o quelle sul lavoro.

La politica deve ricostruirsi un’immagine di rigore, trasparenza ed efficacia, senza queste doti il nostro Paese non avrà futuro. Corruzione, ingiustizie, dispersioni di risorse economiche, collusioni con la criminalità organizzata e il malaffare saranno un muro invalicabile per il rilancio dell’Italia, finirebbero per soffocare la lealtà e l’onestà della massa dei cittadini costretti a subire in silenzio la protervia dei disonesti o la violenza di chi delinque. La magistratura, d’altro canto, deve avere il coraggio di sollecitare una rifondazione integrale del diritto nel nostro Paese, sottraendolo alla sfera della filosofia o di un’utopica visione della società. L’anteporre il principio all’effettività ha portato l’Italia in una zona grigia favorevole solo ai mercanti di iniquità. Basti pensare a quanto negativamente incida sull’economia e sulla civiltà dei comportamenti, la farraginosità delle leggi e la lentezza della loro applicazione, minata da codicilli e interpretazioni da giureconsulti sino a perdere di vista ogni fatto reale. Non punire un colpevole è un’ingiustizia grave patita ogni giorno da noi onesti.
Ritengo più grave che un reato o una richiesta di risarcimento sia prescritta che non perseguita. È un discorso infinitamente complesso e ricco di sfaccettature, ce ne rendiamo conto perfettamente.

Una svolta tuttavia è possibile e a questa debbono concorrere tutte le migliori forze del Paese: i cittadini, i politici, i magistrati e gli amministratori.
Iniziamo a disboscare quell’intrigo di norme che rende le burocrazie forti e la corruzione uno strumento rapido ed incisivo. Siamo convinti che la totale trasparenza, pubblicando sul web tutti i documenti, le nomine, gli incarichi per ogni gara, l’affidamento ad un’unica responsabilità degli appalti, la riduzione a non più di cento presidi per tutti gli appalti pubblici, possa raggiungere risultati eclatanti. Iniziamo da questo poco e valutiamone gli effetti. Lo sguardo dei cittadini onesti, il loro saluto, la tutela della propria dignità potrebbero valere molto più delle manette, anche quando queste siano necessarie. Ricostruiamo l’etica personale e della società, in questi valori sono custoditi gli anticorpi di una democrazia che privilegia gli onesti e allontana gli speculatori.

Fonte immagine; www.trend-online.com

 

Pubblicato: Mercoledì, 25 Marzo 2015 13:55