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Passaggio a livello: "Le riforme costituzionali e la confusione parlamentare"

parlamento italiano17-02-2015
Ubaldo Pacella

L’Italia è un Paese arretrato in molti settori, quello istituzionale lo è ancora di più. Esiste un grave deficit culturale e democratico sia nell’offerta dei servizi al cittadino, siano essi pubblici o privati, sia nella funzionalità degli elementi cruciali per il miglior vivere civile di un Paese. Potremmo snocciolare una sequela di fattori più o meno accentuatamente negativi che vanno dal mancato rispetto dei diritti della persona, alla sicurezza, alle forme di violenza materiale ed economica che milioni di persone son costrette a subire.

La corruzione, non a caso, è il cancro che pervade la struttura stessa della nostra società civile, nella quale il compromesso diviene la misura di ogni rapporto, perché labile, frammentato e spesso inesigibile è il confine tra il diritto, il buon senso e la possibilità di esercitare comportamenti sereni nel rispetto dell’altro, orientati alla tutela della convivenza e della civiltà tra persone.
Una condizione che sottende la costruzione stessa dell’Italia unita, un intreccio pervasivo di rapporti “avvelenati” che 150 anni tormentati di storia sono riusciti appena a scalfire. Tralasciamo volutamente tutte le implicazioni con la malavita organizzata, l’assenza dello Stato, la mancanza di educazione civica, il latitare delle istituzioni praticamente in ogni ambito.

Una classifica amara per troppe persone comuni che hanno impegnato una vita intera per provare a costruire una società meno iniqua, rispettosa dei valori fondamentali, capace di tutelare le idee anche quando queste non siano minimamente condivise.
La politica occupa uno dei punti più bassi di questa scala negativa. L’ennesima dimostrazione della fragilità del nostro sistema parlamentare ci è venuta dallo spettacolo, invero desolante, offerto dal Parlamento, in questo caso dai deputati soprattutto dell’opposizione, incapaci di conformarsi a regole e prassi fin troppo elastiche per definire un percorso legittimo di ogni legge o decisione, sia essa di stampo governativo o parlamentare. Il merito della questione dovrà essere approfondito in un’ulteriore analisi per aiutarci a decriptare le insidie, mai del tutto scongiurabili, insite in una riforma costituzionale di ampio respiro che chi scrive approva senza tentennamenti. Non perché convinto della bontà dell’impianto normativo in ogni suo aspetto, ma perché ferocemente determinato ad avviare quel drastico cambiamento politico e culturale che solo può salvare l’Italia e le giovani generazioni. L’immobilismo dovuto ad un ordinamento repubblicano costruito sul modello della non prevalenza costituisce oggi, a settant’anni di distanza, una trappola micidiale per tutti i cittadini. Alimenta un sistema perverso d’incapacità di scelte, cui non fanno mai da contrappeso reali responsabilità.

L’innovazione è la forza cruciale per dare dignità democratica alla società Italiana. Qualsiasi decisione che rompa i confini con il compromesso è necessaria e positiva. Si correrà ai ripari successivamente, dopo le verifiche sul campo, di ogni iniziativa che tende a scardinare il sistema costituito. Queste parole rappresentavano qualche decennio fa la frontiera di una sorta di rivoluzione culturale, oggi vengono usate, da frange di contestatori strumentali e strutturati, come quelli della sinistra del PD o di Sel, perché gli altri non meritano nemmeno l’appellativo di contestatori, come vessilli di una sorta di restaurazione liberale, capace di imbavagliare le nostre libertà, sino ad affermazioni sprezzanti del ridicolo come quelle di una deriva autoritaria in Italia a seguito della riforma costituzionale ed elettorale.

Il vulnus peggiore non è venuto solo dall’indegna gazzarra che esponenti del Movimento 5 Stelle e neo avanguardisti di Forza Italia o della Lega hanno manifestato, bensì da un esercizio sistematico del filibustering ovvero l’uso specioso di procedure volte esclusivamente a bloccare i lavori parlamentari. Un fatto questo a lungo trascurato nella cultura politica Italiana, mai degno di analisi e riflessioni sul senso delle scelte e sulle responsabilità. È il vizio profondo di una subcultura giuridica che tende a disconoscere, in ogni caso, l’obiettivo e la concretezza dei fatti. Un germe che ha corroso dall’interno istituzioni, modelli operativi e decisioni finendo per travolgere, tra i bizantinismi più oscuri, ogni ragione, buonsenso, infine la magistratura stessa e l’architettura che la informa. Non ci poniamo l’impegno a raggiungere un obiettivo, soprattutto in ambito sociale e politico ma siamo tutti, senza esclusione, attanagliati dall’esigenza di non concedere né spazio né credito a chi la pensa diversamente da noi. Primo è impedirgli di agire, poi affrontare il confronto dialettico, mai accettare le scelte democratiche di una maggioranza liberamente espressa. Non a caso anche nella metafora calcistica il vizio italico è quello di garantirsi prima il pareggio, solo dopo rischiare la vittoria.

Lo iato tra fine e mezzo si allarga così a dismisura sino a confondere i piani e determinare quella sorta d’inversione della logica che contrasta con la linearità dei fatti e delle espressioni. Una settimana di dibattito parlamentare, mai capace di un vero alato pensiero. Stucchevole e debordante nell’infinito riproporsi di emendamenti e sub emendamenti, di cui nessun cittadino informato può comprendere la ratio. Cosa che avviene puntualmente per i parlamentari che li presentano, magari vergati a mano, di fretta su uno straccio di foglio bianco. Le critiche alla riforma costituzionale sono tracimate nel breve volgere di due giorni nel solito ritornello del bavaglio alle opposizioni, semplicemente perché i tempi, invero lunghissimi, dedicati all’analisi dei provvedimenti non sembravano bastevoli a fermarne il cammino parlamentare.

Lasciano non poco perplessi i tentativi della Presidente della Camera Boldrini, improntati ad un buonismo paternalista nel concedere ulteriori non previsti allungamenti del dibattito, senza ottenere la ragionevolezza di un tempo limite per le votazioni finali, questo sì espressione di reale democrazia e di funzionalità effettiva del Parlamento.

Non si è scelto il meglio, dall’altro lato della barricata, che ostentare una forza dei muscoli e piegare l’irragionevolezza con una sofferta ma responsabile integrità del PD. Avrei preferito una minor esposizione del premier Matteo Renzi su questo passaggio parlamentare che, presidenza della Camera e gruppi parlamentari della maggioranza, avrebbero dovuto gestire con maggior professionalità ed equilibrio. Il soccorso ministeriale, ancorché autorevole, non doveva essere necessario. La classe politica italiana per prima deve imparare a rispettare le regole, che essa stessa si è date e che risultano largamente infruttuose. È chiamata ad esercitare modelli di comportamento rappresentativi di quella che in teoria dovrebbe essere l’elite del Paese, cioè persone scelte per rappresentare ogni anima differente e trasversale della nostra società civile. Le scene di Montecitorio in realtà fanno pensare ad una rissosità da stadio, al cialtronesco vilipendio delle istituzioni, consumato per puro spirito di conflitto, senza entrare nel merito ed accettare la propria posizione minoritaria, quando lo diventa, in maniera così plastica e palese. Quale senso democratico potrebbe avere la presentazione un’ora prima della seduta di valanghe di sub-emendamenti fatti solo per ostracismo?

Perché una legge dovrebbe essere alla fine votata solo per concessione dell’opposizione? Questa è una prassi mefitica del Parlamento repubblicano, dovuta al fatto che nell’architettura istituzionale è più facile contrastare e bloccare ogni provvedimento che esercitare un’azione d’indirizzo, della quale si dovrà rispondere concretamente nel tempo. L’opposizione contrattata, ben oltre le anse di un patto del Nazareno che è naufragato sul primo scoglio dell’imperizia di Forza Italia, è uno dei frutti avvelenati del nostro parlamentarismo. Ritengo indispensabile, prima ancora di una riforma costituzionale più che necessaria, mettere mano ai regolamenti parlamentari, affinché siano correttamente improntati ad un confronto civile di posizioni di merito, non più piegati alle scorrerie cavillose di manipoli di perdenti, perché la vera opposizione è quella culturale che si esercita, se ne hanno le capacità e le idee, dentro e fuori il Parlamento, non quella ottusa di un burocratismo delle forme istituzionali.

Occorre coltivare la capacità di scegliere e l’assunzione di responsabilità nei confronti di tutti i cittadini. L’Italia ha bisogno di un sano pragmatismo. Non si vincono le sfide su ogni terreno possibile, se non si ha la capacità di portare fino in fondo le proprie decisioni. Nessun sistema socio-industriale potrebbe competere con piombi simili alle caviglie. Lo dimostra il declino e l’irrilevanza perdurante cui l’Italia si è condannata da trent’anni per non avere il coraggio di provare a vincere, di assumersi la responsabilità di governare. Voglio richiamare un esempio di questi giorni, eclatante nella sua dimensione, ma da circoscrivere a fattore emblematico, quello della ripresa produttiva degli stabilimenti della Fiat in Italia. Si fossero seguite le derive simil leniniste proposte da Landini non avremmo più né un solo posto di lavoro, né siti industriali, bensì fabbriche arrugginite e inquinamento ambientale. Il mercato segue alcune regole, è bene cercare di cambiarle dall’interno ma non rispettarle significa fallire, come dimostrano i risultati delle elezioni a Pomigliano d’Arco che hanno irriso la Fiom.

L’ottimismo della consapevolezza deve guidare un passaggio straordinariamente delicato della società e della politica in Italia. Non possiamo assistere a sceneggiate irritanti e risibili, come quelle della maratona parlamentare della scorsa settimana quando le vere priorità per il nostro Paese e per l’Europa incombono funeree tra un Mediterraneo di sofferenza e di morte e il rombo cubo dei cannoni alla frontiera orientale del continente. Questi, insieme alle enormi emergenze economiche e alle necessità di un riequilibrio equo e solidale, sono le priorità del Paese rispetto alle quali è necessaria calma, temperanza e lucidità, doti del tutto smarrite nel fragore a favore di telecamere espresso in Parlamento.

Un destino scandito sulle note del Festival di Sanremo, capace di oscurare in una stolida tradizione popolare, le baruffe e le beghe di un parlamentarismo disfatto e troppo vecchio per rappresentare le esigenze di un’Italia che non vuole più né sopravvivere, né acconciarsi ad ulteriore triste declino, bensì ha in animo di difendere quel che rimane di un grande patrimonio produttivo, economico e culturale sul quale si è fondata l’idea di patria e l’idea d’Europa.
Voglio chiosare ricordando che comportamenti come quelli tollerati nell’austero emiciclo di Montecitorio non sarebbero stati possibili nemmeno nel più polveroso stadio di periferia. Gettare oggetti all’arbitro, quali che siano le sue scelte, avrebbe comportato partita persa a tavolino e squalifica del campo. Lo rammentiamo a beneficio di chi metterà mano ai nuovi regolamenti parlamentari. Lo sport ha gravissime carenze, ma i comportamenti della politica ne sarebbero banditi. Speriamo che qualcuno possa capire quale grande passo di civiltà esiste ad essere avversari competitivi non nemici da piegare.

Fonte immagine: www.qelsi.it

Pubblicato: Martedì, 17 Febbraio 2015 13:54