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Passaggio a livello: Mesto ritorno di un menù stantio

10-02-2015
Ubaldo Pacella

Fragorosa nella rilevanza mediatica, povera nei contenuti, nei fatti, ancor più nella sostanza è arrivata la censura al famigerato Patto nel Nazareno da parte di Silvio Berlusconi.
La settimana politica italiana si apre con questa funambolica presa di posizione. Polverosa negli aspetti mediatici, ormai consunti da un ventennio di apparizioni televisive sulle reti domestiche di Silvio Berlusconi a scandire ovvietà, ovvero ad elargire idee destinate a bruciarsi come le pagine dei giornali che i vecchi cronisti di oltremanica definivano utili ad incartare il pesce il giorno dopo la loro pubblicazione.

Ritengo bolso e stantio come chi l’ha pronunciato un dietrofront politico del leader, appannato e ammaccato, di Forza Italia rispetto all’agenda delle priorità del Paese. Vorrei essere più riverente al cospetto di un politico che, purtroppo, ha dettato le priorità del Paese per un ventennio sostenuto indirettamente da una sinistra così priva di progetto politico, di aspirazioni ideali e ancor più di conoscenza delle necessità dell’Italia da farne l’unico feticcio per la propria sopravvivenza politica: il demone da abbattere, non l’avversario da sconfiggere con l’incisività delle idee e il rigore delle scelte e dei comportamenti.

Confesso che il sorriso domina le mie convinzioni. Considero patetico questo annuncio inutilmente bellicoso volto al popolo di Forza Italia durante il week end. Antipasto farsesco di una ventilata neo alleanza con la Lega di Salvini, sancita dalla più vetusta delle cene ad Arcore. Sembra di assistere ad un flash back di film alla Vanzina, dove il ridicolo finisce per sommergere il grottesco. Nulla è cambiato ad Arcore in vent’anni, verrebbe da osservare, se non che al roboante “Senatur”, inventore della Lega, si è sostituito un più telegenico e giovane Salvini, capace di destreggiarsi meglio con la parola e al quale riconoscere il merito di non sottrarsi ai fischi, alle contestazioni, alle uscite provocatorie non solo annunciate ma rese evidenti per le vie.

Non mi sembra, in tutta franchezza, una notizia, men che mai aggettivabile per la politica nostrana, il mesto riapparentamento tra Forza Italia e Lega in vista delle prossime scadenze elettorali regionali dalle quali entrambi potrebbero uscire con le ossa rotte, ancorché federati, ma che prefigurerebbero una sconfitta certa se affrontate ognuno per proprio conto. L’unica riflessione che ciò mi suscita è quella della modestia condita a piene mani con la tristezza del declino.

Volersi contrapporre con un corroso scaricabarile, per il mancato rispetto del Patto del Nazareno, ad un modello vincente - almeno per ciò che concerne il passaggio dell’elezione del Presidente della Repubblica – è del tutto incomprensibile per chiunque abbia una modesta compitazione della politica, anche di quella autoreferenziale italiana. Non vi è una sola ragione per la quale in questo momento al leader di Forza Italia convenga di tentare l’estrema risorsa del rovesciamento del tavolo delle riforme. Indebolisce, in tutta evidenza quell’immagine di “statista” che ha tentato di accreditare negli ultimi due anni. Non ha né la forza, né la compattezza, tanto meno le risorse e la fiducia degli italiani per provocare crepe in un disegno istituzionale più moderno, che lo ha visto comunque protagonista per un anno intero.

Questa scelta apparente, di maniera e di comodo rischia solo di dare centrale rilievo alla minoranza del PD come alle opposizioni di Sel, dei 5 Stelle, per non parlare di quel manipolo di parlamentari dissidenti che ragionevolmente potrebbero adottare la linea della “ragion di Stato”. Sabotare un percorso di cui si è stati pazientemente artefici e diremmo in modo corresponsabile è un nonsenso logico, culturale prima ancora che politico. Come dire pubblicamente ho sbagliato tutto, avevano ragione Fitto e Brunetta. Così non è e nel concreto non sarà. Troppo astuto e lucido nei passaggi cruciali è stato sin qui Silvio Berlusconi, per rinunciare ad un confronto dialettico per lui assai vantaggioso, sia a titolo personale, sia per le imprese, sia per la sua ammaccata leadership. Conviene ricordare, come caso di scuola, che basterebbe a Renzi cedere alle sirene della sua minoranza e di Sel sulla nuova legge elettorale per modificare i criteri di elezione del capolista, ricompattare questo gruppo, portarlo al senato e farla votare con questa variazione. Magico colpo di biliardo, tre palle in buca e filotto: non sconfitta, ma cancellazione totale per Berlusconi, Fitto, i loro accoliti e il neoalleato Salvini. Tutto questo è talmente noto da rendere la dichiarazione berlusconiana poco più del ruggito del coniglio emesso da una tigre di carta.

Poco altro ci lascia la settimana politica se non i peana in soccorso del vincitore di tanta stampa italica, prodiga di riconoscimenti al neopresidente Sergio Mattarella, tutti meritati per l’uomo ma sempre taciuti nelle settimane tambureggianti di dichiarazioni in vista di un passaggio politico soverchiamente sovrastimato dai mass media italiani come cruciale per la leadership di Renzi.
Vedremo nei prossimi giorni se la sicurezza espressa da Matteo Renzi e dai suoi dioscuri sia reale e determinante, oppure nasconda qualche preoccupazione e altrettante insidie. Le votazioni previste alla camera per tutta la settimana sulla modifica della legge costituzionale forniranno qualche indicazione, ci apprestiamo a scrutare le nebbie di una prevedibile, più aspro e riottoso confronto per capire quale sarà l’approdo.

Ben altro elemento solleva ahimè il mio cruccio, quello di constatare come in Italia ci si preoccupi sempre troppo del proprio ombelico. La misura massima della visione coincide sì e no con la punta delle proprie scarpe. Siamo presi nel mezzo di una disputa di politica economica assai rilevante per il futuro dell’Italia e dell’intera Unione Europea tra l’ottusa intransigenza germanica, resa evidente dalle continue dichiarazioni del capo della Bundesbank, Jens Weidmann, appena smussate dal piglio di Angela Merkel, a confronto con l’imperativo categorico di archiviare la fallimentare esperienza di un rigorismo privo di strategie per animare di intensità propulsiva la ripresa economica del vecchio continente, chiesta a gran voce dagli Stati Uniti e necessaria a riequilibrare anche il rallentamento della Cina. Il sasso malamente gettato nello stagno dal primo ministro Tsipras e dal responsabile delle finanze Varoufakis, merita un’attenzione che vorrei approfondire in altra sede; resta la necessità di cambiare l’indirizzo economico della UE in tempi brevissimi.

Altri aspetti rilevanti bussano alle nostre porte: l’emergenza nel lato sud del Mediterraneo con l’instabilità della Libia, il contrasto al terrorismo islamico, il flusso inarrestabile di profughi, la deriva africana e la perdurante miccia accesa del Medioriente. Il confronto sempre più aspro, pericoloso e foriero di nembi minacciosi al confine est dell’Europa: l’Ucraina terra di scontro aperto, armato dalla Russia attraverso filoirridentisti e quello ancora sotto traccia ma forse ancor più pericoloso che interessa gli stati Baltici, la Svezia e la Finlandia. Una manovra a tenaglia costruita a tavolino da Putin e dai suoi generali in perfetto stile zarista prima ancora che sovietico: minacciare il centro e il nord del continente europeo per aprire una breccia, se possibile politica, se necessario addirittura militare. Una risposta da manuale dell’800 al profilarsi di una crisi economica interna dovuta alla caduta delle materie prime energetiche e alle sanzioni economiche decise a livello internazionale che sino ad oggi sono costate alla UE oltre 20 miliardi di euro.

Questo scenario ben più preoccupante e di sicuro interesse per il presente e il futuro dell’Italia e della nostra economia viene bellamente ignorato dalla politica interna. Lo registra con puntuale efficacia il Rapporto Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) 2015 dal titolo “In mezzo al guado – scenari globali e l’Italia”. Esperti e analisti selezionati dall’istituto documentano infatti come la crisi economica sia al primo posto delle nostre preoccupazioni con il 39% delle indicazioni, seguita a lunga distanza dalla crisi in Libia con il 14% e da quella tra Europa e Russia al 13%, mentre il terrorismo islamico è al 9%. L’Italia non sembra in grado di fronteggiare le minacce internazionali sostiene la ricerca e comunque è debole nel quadro della governance europea.
Conviene ancora parlare così tanto di Berlusconi?

Pubblicato: Martedì, 10 Febbraio 2015 14:10