Visitare i carcerati
27-09-2016
Qui in carcere, “parolando” con persone immerse nella sofferenza, come verdure sottaceto, sono emerse considerazioni saporite e nutrienti, ci sembra, che, espresse da più voci, possano essere utili per entrane nello spirito del Giubileo della Misericordia.
Ci siamo soffermati a ruminare pensieri e suggestioni sul tema delle “opere di misericordia corporale”, che il cammino giubilare ci sollecita a percorrere ed in particolare ci siamo interrogati sulla “sesta opera di misericordia corporale” che recita: “visitare i carcerati”. Cosa significa, cosa comporta?
Pensiamo che la maggioranza delle persone per le quali, condizionate dai mass media, il primo pensiero sui carcerati è “bisognerebbe buttare via la chiave” sia impossibile capire cosa voglia dire “visitare i carcerati”.
Premesso che chiunque desideri far visita ad un carcerato, che non rientri in una stretta cerchia di famigliari certificati, verrebbe a trovarsi di fronte ad uno sbarramento burocratico pressoché insuperabile, resta comunque da chiedersi di che cosa abbia bisogno il carcerato da visitare.
Ci sono situazioni e bisogni diversissimi: dalla povertà materiale più totale, alla lontananza geografica che rende impossibile anche una sporadica visita di un volto familiare, alla solitudine affettiva più o meno conseguente al reato o alla solitudine di una persona cara che ti scarica perché non ce la fa ad aspettarti, allo sradicamento culturale e spirituale, bisogni cui in parte cerca di sopperire l’associazione laica chiamata appunto “Sesta Opera”, ed altri gruppi di volontariato accreditato che offrono opportunità di sogno e riequilibrio mentale con proposte ricreative, culturali, spirituali, risocializzanti, un ascolto, comunque, prezioso che contribuisce a tenerti vivo e conservarti l’autostima.
Ma il bisogno lancinante di cui ogni detenuto sente necessità, come l’aria da respirare, è quello di essere considerato una persona, dignità che la cosiddetta Giustizia nega ad ogni detenuto appena entra nel suo raggio di azione, e spesso anche molto prima della fase processuale perché buttati intenzionalmente in pasto ai mass-media da una catena di “si dice”, e triturati da un falso dovere di cronaca e più ancora dal prurito di audience. Annientamento totale della persona che perdurerà, distruttivo, anche una volta conclusa la carcerazione, perché la rieducazione carceraria ha proprio lo scopo di fossilizzarti dentro che sei un delinquente e, se aspiri ad avere dei “benefici” devi dimostra di aver ingurgitato tale medicina. Ad un certo momento il colpevole, o presunto tale, entra ina specie di filiera di raccolta differenziata di rifiuti (per altro qui a Bollate sta per essere inaugurato, come fiore all’occhiello, un ampio capannone industriale destinato a questo lavoro di raccolta differenziata) dove varie figure professionali vivisezionano appunto il malcapitato ed ognuna di quelle ne estrapola una parte funzionale alla propria tesi da dimostrare.
Per i Mass-media sei materiale biologico immerso in un letamaio a cielo aperto dove vengono enfatizzate tracce, indizi, refusi, agganci, insinuazioni a conferma dell’una o dell’altra tesi di parte, tanto per incrementare l’audience appunto (vedasi a proposito, a caso, una delle tante trasmissioni televisive che obbediscono al prurito del cosiddetto “dovere di informazione”).
Per i PM sei un animale da scuoiare, senza buttar via niente, perché anche la minima sfumatura del tuo dire può diventare prova contro di te e per questo il tuo avvocato ti dice “tu non dire niente, parlane con me prima”, e da non aizzare con opinioni e letture in collisione.
Per i Giudici sei un glaciale articolo di codice da incasellare in questo o quel comma.
Per gli Educatori/Educatrici, nonché per i vari Psicologi o altre figure di analisi, incaricati di ricostruire il profilo del colpevole di turno, sei la sentenza che loro ti devono far ingoiare e digerire e non puoi insinuare rilievi chiarificatori così che arrivi ad incrinare la tua consapevolezza di essere un umano e, quello che non è crollato sotto i colpi dell’interminabile processo, si frantuma sotto i colpi di questi demolitori impietosi che “scrivono” (!); e tu sei già un fossile per loro.
Per gli Agenti di Custodia sei sempre un colpevole da trattare con severità e con i quali non è permessa confidenza perché a loro non è concesso di potare sul lavoro né cuore né intelligenza e, dove eccezionalmente, ma proprio eccezionalmente qualcuno ti rivolge una parola umana, ti da la mano, ti guarda in faccia, ti ascolta, tu piangi e non sei più in… carcere, e trovi la forza di starci “volentieri”.
Per il Servizio Sanitario sei un energumeno da sedare con psicofarmaci piò o meno mimetizzati.
Nella Struttura sei un suppellettile da rimessare in spazi ben chiusi e spartani, non importa se angusti e sovraffollati.
E nella Chiesa? Sono più impegnati i radicali.
Con questo, per riempire di misericordia il mondo carcerario, se pure ci sono strutture da restaurare secondo criteri almeno “europei”, il lavoro più grande ed urgente è quello di mettere in cantiere una scuola apposita per la formazione culturale ed umana delle persone che vi operano e che, essendo sottoposte ad una terribile usura ed a uno stress deformante continuo, vanno riciclate e “riformate” coraggiosamente se no, il tutto, si confermerà sempre di più “università” del crimine e della disumanizzazione sia del detenuto che degli operatori interagenti negandone ogni minima validità sociale e socializzante.
Ma se questo è il carcerato ed il carcerato da visitare, non c’è da disperarsi né buttare la spugna, ma munirsi di un buon zaino e portargli dentro un boccone di umanità e una gamma di opportunità di risocializzazione. Il lavoro, la scuola professionale più che umanistica, perché persone di una certa età non sono certo spendibili in ambiti di concetto, spazi per altro difficilmente raggiungibili anche da giovani emergenti anche per la carenza di richiesta, mentre una scuola professionale potrebbe offrire sbocchi più accessibili e gratificanti.
Infine c’è ancora uno straordinario modo di “visitare i carcerati”, un modo che deve uscire dalla mente e dal cuore: una lettera! Una lettera senza falsi convenevoli o banalità, ma intinta nella vita “ruspante” di chi non se la passa poi così tanto meglio, immersi come si è oggi in problemi di sopravvivenza, di insicurezza di lavoro, di fragilità della coppia, di crollo di schemi educativi per i figli, di miraggi fuorvianti di denaro facili, di violenza, di evasione nell’alcol, nella droga, di divertimento ad ogni costo, nell’uso banale del corpo e degli affetti, destabilizzati dai drammi delle migrazioni e delle guerre. Una lettera che quanto arriva ti fa vibrare profondamente perché il tuo nome viene gridato significativamente all’altoparlante con quel “il detenuto NNN al piano per corrispondenza”. E mentre corri e vai dimentichi la volgarità di chi ti sputa in faccia ad ogni occasione “detenuto”, e sogni, ritiri e torni lentamente sui tuoi passi mentre centellini la lettura incurante di chi incroci e che talvolta ti guarda con tenera invidia. E questa lettera porta già dentro, per chi l’ha inviata, una risposta di “GRAZIA” che gli dice “l’hai fatto a me!” (Mt.25,40).