Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie vai alla sezione

Home a buon diritto

Passaggio a livello: Amministrative. Rigore e serietà debbono attendere

raggi-giachettiUbaldo Pacella, 13 giugno 2016

Una sola cosa è chiara, dopo le elezioni amministrative dello scorso 5 giugno: ha perso la politica.

Analisti, centri di ricerca, editorialisti si affannano a ricostruire con  qualche  ragione, seppure da angolazioni diverse,  flussi  elettorali,   interpretazioni del voto e della soglia di astensionismo. Le apparenze possono facilmente ingannare anche l’osservatore più attento, poiché  un voto amministrativo così variegato non si presta a valutazioni omogenee, sulla scorta della matematica, della scomposizione dei numeri, delle variabili dell’elettorato.

Il confronto tra Sala e Parisi a Milano ha caratteri diametralmente diversi da quello tra  Fassino e Appendino  a Torino o tra Giachetti e Raggi a Roma. La storia amministrativa, non solo recente, di queste città incide in modo sostanziale sull’elettorato e ve indirizza le scelte.

Altro dato di fatto è costituito dalla mobilità del voto, è evaporato per sempre il concetto di “zoccolo duro”, di un elettorato di riferimento pronto in qualunque condizione,  a sostenere un partito, magari “turandosi il naso” come scrisse Indro Montanelli, coniando questo aforisma di successo. Si sono eclissate al pari e ciò è un gran bene per la democrazia, le famigerate “truppe cammellate”,  quegli elettori condizionati dal voto di scambio che hanno fatto la fortuna di troppi maneggioni e lestofanti della politica locale e nazionale,  forgiando i binari di una corruzione dilagante, divenuta male endemico del Paese,  camicia di forza della crescita, sentina del più becero populismo.

Non ci sentiamo di riconoscere una linea comune nell’analisi del voto nelle grandi città, partendo da due fatti non suscettibili di smentita  il buon successo del Movimento 5 stelle a Roma e Torino, ma non a Milano e non è di poco conto, le gravi sofferenze del PD locale, oltre che in queste metropoli anche a Bologna, per tacere della debacle annunciata di Napoli dove tra la candidata e Bassolino e i malmostosi del partito la competizione è stata solo a far peggio.

Chi esce, una volta di più, con le ossa rotte è la buona politica.

Idee poche, raffazzonate, condite di soluzioni di corto respiro, quelle che i cittadini, tra l’altro invocano, dopo decenni di  guasti, inefficienze, corruzione e soprattutto nessuna soluzione per i gravi problemi che assediano le metropoli, in particolar modo nelle aree periferiche e tra le persone più fragili e meno economicamente autonome.

E’ il caso di Roma, travolta dall’inefficienza dei servizi: trasporti, igiene e ambiente su tutti, da una mobilità disastrata come le strade della capitale, da una burocrazia inefficiente, sorda alle necessità reali, quando non collusa e corrotta. Il fenomeno Raggi affonda nella disfatta delle giunte degli ultimi 15 anni, in una capitale che invece di risolvere le emergenze e avviare un meritato rilancio è stata abbandonata nel degrado della qualità sociale della vita, come in quello delle istituzioni. La scelta nei confronti del Movimento 5 stelle affonda nella disillusione, non in una progettualità. E’ un grido di dolore che i partiti tradizionali non hanno saputo cogliere, di urgenze, banali e quotidiane ignorate, di sofferenza e marginalità negata.
Il risultato è una politica fragile come un grissino, appiattita sulla soluzione di questioni  modeste come le buche stradali, per le quali dovrebbe bastare un dirigente integerrimo quanto determinato, non il sindaco di una delle capitali più famose del mondo, di una città dotata di un patrimonio storico, artistico e culturale ineguagliabile.

Illusorio è rincantucciarsi nel perimetro del cortile di casa. Il rilancio strutturale di Roma richiede strategie visionarie, passione, alleanze internazionali, investimenti pubblici e privati, una missione all’avanguardia per la città eterna, che deve proporsi come faro di civiltà accoglienza, tolleranza ed etica, con uno sguardo privilegiato verso la religiosità e il dialogo.

Siamo decisamente scettici sulla capacità di innovare della Raggi, al cospetto dello sfacelo attuale di Roma. Il pragmatismo di Giachetti potrebbe senza dubbio funzionare meglio. Nessuna delle due politiche ci appassiona, perché frutto di una ritirata dalla società, l’esatto contrario di quando è richiesto oggi alla vera politica, ovvero l’assunzione di responsabilità verso scelte collettive di alto profilo, in grado di invertire la deriva di una democrazia minata dalla prepotenza della finanza, dall’arrendevolezza dell’economia, dallo smarrimento dei cittadini, in particolare di quel ceto medio produttivo sul quale si sono costruite le fortune dell’occidente dagli anni ’60 alla fine del XX secolo.

Assai diverso è il caso di Torino, più articolato quello di Milano, unico quello di Bologna, dove l’apparato PD sembra ormai esangue,  incapace di proporre e gestire l’innovazione nei servizi e nelle strategie di promozione sociale.

Starà a noi trovare energie, idee, rigore per costruire nuovi modelli di politica, in grado di rilanciare gli archetipi  di una democrazia che è difesa dei diritti dei più deboli, tolleranza, inclusione sociale, solidarietà e soprattutto promozione dei giovani e del merito. Senza il nostro contributo, per quanto modesto, non vi sarà futuro brillante.  Resteremmo tanti Ciaula che scoprono la luna.

 

Fonte immagine: huffingtonpost.it

Pubblicato: Lunedì, 13 Giugno 2016 11:22