Passaggio a livello: Terrorismo: più che la forza servono il rigore e la coerenza
07-04-2016
Ubaldo Pacella
Sopita l’onda di emozione seguita alle orrende stragi di Bruxelles una bruma insidiosa sembra avvolgere il terrorismo di matrice islamica. E’ un effetto naturale che gli eventi più tragici producano rimozione. Si lasciano alle spalle una scia di dolore infinito in chi ne è barbaramente colpito, la necessità per tutti gli altri di continuare la vita e le attività quotidiane, salvo richiamare alla memoria periodicamente lo sgomento, la paura, la fragilità di un tempo scandito dalla violenza, tanto atroce quanto inutile, come quella terroristica ovunque perpetrata.
I mass media di tutto il mondo, nelle scorse settimane, hanno proposto analisi e approfondimenti delle ragioni per le quali si va diffondendo, soprattutto in Europa, la piaga della efferata violenza, piegata ad un radicalismo islamico che ne è strumento, ma non causa.
Il nemico giurato di questa stagione è a ragione l’Isis e la galassia delle fazioni terroristiche che da troppi anni insanguinano il medio oriente, il corno d’Africa, gli stati centrali del continente nero, sino a lambire il Mediterraneo.
Le sorti del Califfato del terrore, erede spurio di Osama Bin Laden e di Al Qa ida, appaiono tuttavia legate a doppio filo agli interessi contrapposti di Politica estera che agiscono su una area geografica ben definita che interessa il quadrante mediorientale, il limitrofo golfo Persico sino alla Turchia, e all’Afghanistan.
Una faglia di alta instabilità che chiama in causa la Siria, sconvolta da anni di guerra civile, l’Iraq, L’iran potenza regionale in ascesa, l’Arabia Saudita e gli stati del Golfo sino allo Yemen.
Una regione complessa al centro di interessi cruciali sulle rotte del petrolio che chiamano in causa direttamente Russia, Stati Uniti e Europa. Non sarebbe stata possibile in alcun modo la nascita e l’irradiarsi a macchia d’olio del Califfato se non vi fossero state precise connivenze, se non si fosse pensato di utilizzarlo per destabilizzare alcuni equilibri a favore di altri.
Conoscenza dei fatti e valutazioni strategiche indispensabili quanto più se si pensa di aggredire questo terrorismo quasi esclusivamente sotto il profilo della repressione militare, dei bombardamenti, degli eserciti sul terreno, preferibilmente quelli locali, così che l’occidente non si sporchi le mani di sangue in maniera troppo evidente e non veda i propri giovani tornare in bare vestite da bandiere.
Chi scrive ritiene che il terrorismo vada stroncato in ogni modo, senza tentennare, né offrire alibi, zone d’ombra, giustificazioni. Ciò non vuol dire, tuttavia, fare ricorso ad una repressione insana, generale, violenta, tenendosi ben alla larga dai veri santuari che lo animano, finanziano, sostengono a vario titolo, cioè che lo sfruttano per altri reconditi interessi.
Bisogna avere il coraggio di affrontare le questioni che rendono possibile strumentalizzare un odio così profondo verso la cultura occidentale, la democrazia, la libertà, le donne i giovani, i bambini.
Comprendere, per costruire itinerari inclusivi, capaci di originare una vera cesura con l’oscurantismo violento e eterodiretto. Il terrorismo si sradica con la ragione, il dialogo, il coinvolgimento diretto di tutta la comunità islamica, oggi troppo timida, quasi collusa con le frange estremiste.
E’ necessario tuttavia un apparato repressivo efficace, accompagnato da una intelligence acuta, originale, innovativa, tecnologicamente all’avanguardia in ogni settore, a partire dalla comunicazione e dai social media.
Mi chiedo, con un esplicito interrogativo retorico, come sia possibile conseguire successi duraturi se non si affrontano le questioni politiche, economiche, finanziarie che alimentano il terrorismo e vi fanno affari, a cominciare dalle industrie degli armamenti.
L’Isis è nato per volontà di Paesi che sono, per altri versanti, alleati dell’occidente. Sosteniamo e facciamo affari con l’ Arabia Saudita, abbiamo aperto nuovi scenari con l’Iran dopo decenni di sanzioni, l’uno e l’altro siedono al palazzo di vetro dell’ONU a New York ma sono le loro banche, loro intermediari ad incendiare la regione con una guerriglia infinita, affrontandosi attraverso fazioni ribelli, in un clima di perdurante violenza e di destabilizzazione di lunga data. Attori cui si aggiungono ora i Curdi, ora i turchi, infine la stessa Russia, mentre gli Stati Uniti, dopo i troppi errori del passato stanno a guardare e l’Europa sino ad oggi si è colpevolmente girata dall’altra parte, perseguendo interessi occasionali sfociati, come nel caso libico, in un fiasco clamoroso, peggiore dell’invasione di Suez del 1956.
Sono scenari e temi complessi quanto intricati che appare arduo affrontare in una breve nota. Vorremmo tuttavia ricordare che dopo cento anni varrebbe la pena per la stabilità e pacificazione mondiale mettere mano a quella sorta di puzzle medio orientale scaturito dalla disgregazione dell’Impero Ottomano durante la prima guerra mondiale. Gli stati nati a partire dal 1916 non erano comunità nazionali, bensì aggregazioni spurie progettate, su carte geografiche approssimative, secondo gli interessi prevalenti soprattutto dell’Impero britannico e in parte di quello francese. Oggi la storia è molto diversa, le esigenze dei popoli integralmente cambiate, gli scenari mutati. Conviene agire rimodellando la politica in modo conforme alle comunità, cogliendo le spinte unificatrici. Un secolo di repressioni violente, di dittature, di potere assoluto di questa o quella parte religiosa ha prodotto poche cose sane e molto terrorismo. Cambiare pagina si deve, soprattutto per i nostri figli e l’Europa deve assumersi in solido questa responsabilità, lo chiedono tanti morti innocenti.
Altra questione è mettere mano ai flussi finanziari che alimentano il terrorismo, questi passano inevitabilmente per i mercati dell’occidente e dell’oriente, comunque di tutti gli stati che si dicono mobilitati contro questa terribile piaga del tempo presente. Basterebbe un tavolo tecnico, poche idee intelligenti, molta determinazione e rigore per sconfiggerlo.
Non bombe o carri armati, servono di più regole e file, il resto è retorica, offende la dignità, l’etica, i valori fondanti della comunità civile, quelli che ci ispirano e vogliamo difendere ad ogni costo, senza divisioni di censo, cultura e culto.