Passaggio a livello: Roma: Ripristinare Onestà e senso civico per ridare senso alla politica
22-03-2016
Ubaldo Pacella
E’ necessario tornare ad occuparci, magari più brevemente, dei mali endemici di Roma perché questi assumono un valore nazionale, esplicitano una metafora che esprime con una lancinante chiarezza, quanto la nostra società sia ferita, come la mancanza di coesione civile non faccia argine al malaffare, al degrado, alle difficoltà di una infinita crisi economica. Tutti siamo così più soli, maggiormente esposti, gravati di preoccupazioni e carenti di speranza, di ideali, di una profonda cultura della solidarietà.
La cattiva politica ha spesso avvelenato l’aria dell’Urbe capitolina. La storica denuncia dell’Espresso pubblicata l’11 dicembre del 1955 a firma di Manlio Cancogni, con un titolo icastico quanto efficace: “Capitale corrotta, Nazione infetta”, vale ancor più oggi.
Le responsabilità dei politici e degli amministratori che si sono succeduti per decenni, quasi tutti con la stessa visione, di lucrare affari e prebende per la propria parte, è talmente solare da evitare ogni dimostrazione, tanti sono i fatti e le occasioni che si offrono anche allo sguardo più distratto. Questo ha prodotto conseguenze devastanti sotto il profilo sociale, ha costruito una burocrazia capitolina piegata ad ogni abuso, sprezzante verso le leggi e i cittadini, ipertrofica per ricavare privilegi o illeciti guadagni in ogni ordine e grado del personale. Dirigenti ed impiegati, persuasi da anni di tracotante occupazione del potere commisurata al disprezzo di ogni regola, umiliando ogni virtù civile e senso dello Stato, si sono offerti ai vari potentati come docili famigli per sbrigare ogni tipo di affari, in cambio di carriere, incentivi economici o lassismo sfrenato. Hanno chiuso gli occhi, ignorato regole e leggi, distorto consuetudini, sempre al sicuro e impuniti purché vi fosse un padrino, una corrente politica, un consigliere comunale, un assessore, un personaggio influente che garantisse per loro. Clientes li chiamavano già ai tempi della Repubblica o dell’Impero Augusteo, basta ricordare le folgoranti denunce di Catone il censore. Un filo rosso del servilismo piegato agli interessi di pochi che scorre senza soluzione di continuità dal medioevo, al rinascimento, dalla nobiltà nera, alle corti papali, dall’Unità d’Italia al secondo dopoguerra, sino ai giorni nostri.
Sono sufficienti due sole informazioni, rese note in questi giorni, a definire il quadro sconcertante e del tutto fuori controllo dell’intera amministrazione capitolina. I livelli di assenteismo registrati dal personale dipendente dal 2012 al 2015 vanno dal 23% al 22,6% medio, con punte molto più elevate in alcuni comparti come qualche municipio, alcuni assessorati, la polizia municipale. Sono cifre agghiaccianti dal punto di vista industriale, indici molto più elevati non solo delle medie nazionali, bensì dei comuni meno virtuosi d’Italia e stiamo parlando della Capitale, dove il senso dello Stato si dovrebbe pretendere altissimo.
Una concentrazione di lassismo indecorosa, come dire che un impiegato su quattro ogni giorno non è al suo posto di lavoro, immaginiamoci quale possa essere la produttività media. Esisteranno senza dubbio delle sacche di efficienza, qualche sparuto gruppo di impiegati solerti tra i poco meno di 25.000 dipendenti comunali, escluse le società controllate come Atac e Ama ad esempio, ma con un esercito così demotivato e allo sbando affrontare una guerra per la legalità appare un disastro e un fallimento annunciato.
Non bastasse lo scenario tratteggiato con lucida incisività dalla relazione del presidente dell’ Anac Raffaele Cantone descrive una amministrazione piegata, diremmo quasi operosa per l’illegalità negli appalti e negli affidamenti. Il documento sottolinea come oltre 1800 contratti sottoposti ad analisi negli anni 2012 2014 siano in pieno contrasto con le norme vigenti, in spregio addirittura dei principi costituzionali. Ne emerge un quadro desolante : corruzione e malaffare sono l’asse attorno al quale ruota buona parte dell’amministrazione capitolina. Si coglie una fitta rete di complicità e connivenze di interessi esterni, molto spesso criminali, con le strutture amministrative, del tutto trasversale capace di contaminare dai massimi livelli dirigenziali ai più semplici impiegati.
Una diagnosi tagliente quanto impeccabile in grado di sostenere con la certezza dei fatti le denunce di Alfonso Sabella magistrato ed ex assessore alla legalità del comune di Roma, descritte nel suo libro di imminente pubblicazione intitolato “ Un marziano a Roma”.
La buona politica, quella di cui ci facciamo paladini e sostenitori convinti pur tra le macerie presenti, non potrà produrre alcun frutto duraturo se non si bonifica integralmente e in profondità tutta l’amministrazione capitolina. Occorre una modernizzazione dei sistemi, un audit di primario livello, un controllo trasversale e certosino per via telematica di tutto l’operato amministrativo. Dobbiamo ricostruire una classe dirigente integerrima, dedita realmente al servizio del cittadino, rafforzata da una moralità pubblica adamantina, capace di restare, in ogni situazione, con la schiena dritta, come ebbe a dire il Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Una nuova amministrazione chiamata a realizzare gli indirizzi programmatici della politica, ma ben distante dai suoi interessi. Nessuno dovrà vedere favorita o penalizzata la propria professionalità, perché decisa dall’eletto di turno. Vi sono sistemi di valutazione estremamente validi e precisi, solo quelli dovranno essere punto di riferimento per tutto il personale.
Vorremmo essere testimoni nell’immediato di questo cambiamento epocale. Ci chiediamo, ad esempio perché non vengano subito rimossi tutti coloro che hanno firmato gli appalti sottoposti a censura dall’autorità nazionale. Tenerli a casa senza stipendio, in attesa di svolgere tutte le impervie procedure pubbliche previste per la contestazione di un pessimo lavoro, sarebbe un messaggio di straordinaria incisività per tutti i dipendenti, soprattutto per quelli onesti che subiscono lo smacco di tanta diffusa arroganza. Non è un modo giacobino di affrontare la questione, anche se da quello che conosciamo la necessità di metodi da Robespierre l’incorruttibile non dovrebbero essere scartati a prima vista, bensì l’occasione per restituire onore e dignità, valore e prestigio a coloro che lavorano con abnegazione, i quali saranno stati oggetto di scherno dai troppi furbetti del quartierino che si annidano nell’amministrazione capitolina.
Le questioni che dovrebbero interessare la politica sono, o almeno dovrebbero essere, di ben altro livello. Tratteggiare gli scenari di sviluppo e inclusione sociale di una Roma moderna e tecnologicamente all’avanguardia, dove si coniugano i doveri di una capitale dello Stato al cosmopolitismo, al dialogo interculturale, alla promozione dei giovani, all’accoglienza, all’interazione con l’autorità religiosa del Papato, al confronto tra le grandi fedi.
Questa appare oggi una chimera più che un’altra storia. Registriamo un lungo elenco di candidate e candidati a sindaco di Roma, una sorta di balcanizzazione della politica, lo sbriciolamento di ogni identità per rifluire nelle tante troppe anime di tribù metropolitane incapaci di comprendere come il mondo corra su tutt’altri piani che quelli delle stornellate trasteverine. Il silenzio imbarazzato di tutti i candidati su grandi e piccoli temi è l’unica costante in un tramestio provinciale della politica, in grado di allontanarla ancor più dai cittadini dai loro bisogni e aspettative. Il folklore può ancora essere utile e interessante, la politica è cosa diversa, assai complessa e impegnativa. Non ci si misura sulle buche nelle strade o gli autobus e le metro scadenti, a queste cose deve provvedere una amministrazione sana ed efficiente.
La chiave per interpretare il futuro in una logica di solidarietà e di assetti sociali equi e condivisi questo pretendiamo dai politici che si ergeranno sul Campidoglio.
Li attendiamo al varco pazienti, tra un sonetto del Belli e una strofa di Trilussa.