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Privazione della libertà

Luigi Manconi a Busto Arsizio: «Sogno un mondo senza sbarre, il carcere così è inutile

carcere 1la Prealpina.it, 01-03-2016
Carlo Colombo

Un mondo senza sbarre, senza reticolati, senza celle. Soprattutto, senza detenzione. È il sogno di Luigi Manconi, senatore del Pd, una formazione di militanza giovanile in Lotta Continua, ex portavoce nazionale dei Verdi e autore di un pamphlet che viene presentato alla libreria Ubik di Busto Arsizio mercoledì 2 marzo nell’alveo delle iniziative del festival Filosofarti. Benché colpito da una forma di cecità affrontata con allegria, come lui stesso ama dire, Manconi prova a guardare lontano. Nel suo «Abolire il carcere. Anima e corpo», edito da Chiarelettere, è sostenuta una una tesi che potrebbe suonare utopistica, ma che non di meno si fonda su dati, cifre, realtà.

Senatore Luigi Manconi, in breve, perché abolire il carcere?
«Il carcere, ancor prima di essere una istituzione disumana, è uno strumento inutile e nocivo. Inutile perché non raggiunge lo scopo per cui è stato creato, ossia quello di garantire la sicurezza dei cittadini. Al contrario, esso produce e riproduce il crimine. Dal carcere escono uomini incattiviti e più criminali di prima. E qui arriviamo al secondo punto. Il carcere è nocivo perché causa patologie, depressione, ossessioni, autolesionismo e infine morte. Il dato che riguarda i suicidi è sconcertante. Quelli che avvengono all’interno del carcere sono in proporzione diciotto volte più numerosi rispetto a quanti avvengono fuori. Il dato è ancora più inquietante se accostato a quello riferito ai custodi. In dieci anni si sono registrati cento casi di suicidi tra i poliziotti penitenziari».

Quale può essere un’alternativa realistica al carcere?
Ce ne sono a centinaia in Italia, a migliaia all’estero. Dico questo perché il numero di pene alternative al carcere sono minori nel nostro Paese che altrove. Attenzione, però. Vogliamo abolire le carceri, ma certo non le pene. Fra coloro che escono dopo aver scontato la pena, ben il 68 per cento torna a delinquere: una percentuale assai maggiore di quella che si registra tra chi ha beneficiato delle misure alternative, o ha pagato con sanzioni diverse dalla reclusione. Faccio un esempio preso dall’estero. In Germania, due condannati su tre devono scontare solo pene pecuniarie, commisurate alle proprie possibilità economiche, oppure risarcire la società con lavori socialmente utili».

Presenterà le sue tesi a Busto Arsizio, dove il carcere è stata motivo per una condanna che ha colpito l’Italia da parte della Corte europea, che parlò di tortura causata dal sovraffollamento.
«Certo, la condanna allora fu molto pesante da parte della Corte europea. Ora il fenomeno è stato ridotto, ma non eliminato. In Italia restano 10mila detenuti, ossia più del doppio della capienza delle nostre carceri e in molti casi il sovraffollamento è rimasto inalterato. Poi, quando si dice sovraffollamento, molti pensano a Rimini il giorno di Ferragosto. Sì, ma poi di sera se ne vanno tutti via. Si immagini invece di passare 24 ore al giorno, per anni e anni, in un posto chiuso, dove si ingombrano e si sovrappongono i corpi, dove la promiscuità è coatta e abbietta. Tutelare dignità individuale in questo contesto è una impresa».

Come è stato recepito il suo libro? Le sue idee trovano più favore o ostilità?
«Bisogna ragionare e spiegare, semplicemente. Se si pensa, come erroneamente si tende a pensare, che il nostro Paese sia assediato da minacce e pericolosità di ogni genere, basta sottolineare che le carceri non sono la soluzione, ma il problema».

Nel 2001 lei ha fondato l’associazione A Buon Diritto. Di che cosa si occupa esattamente?
«Di tre questioni soltanto, non dieci. Non è un’associazione monotematica o onnicomprensiva: privazione della libertà, questione del fine vita e immigrazione».

A Varese è intervenuto nel contesto del caso Giuseppe Uva. Ci ricorda la sua posizione in merito?
«Parto da un dato inequivocabile, che non è negato da nessuno. Giuseppe Uva è stato portato in caserma senza provvedimento di fermo, né di arresto. Quindi la sua presenza in quel luogo è stata illegale. Da qui consegue tutto il resto. Il pubblico ministero Agostino Abate ha impiegato anni a interrogare il testimone oculare Alberto Bigioggero e lo ha fatto solo dopo che un mio esposto lo aveva incolpato per negligenza per il fatto che portò me a discussione come teste e non lui. D’altronde, le distrazioni, le negligenze e le prepotenze di Abate in questo caso sono state innumerevoli. Poi, scopro che il suo trasferimento a Como non consegue al comportamento scorretto nel caso Uva, ma in un altro caso, l’omicidio di quella giovane donna di 29 anni fa (la ragazza è Lidia Macchi, il cui fascicolo è stato recentemente riaperto con scalpore, mentre il trasferimento di Abate è stato voluto dal Csm in via cautelare per “incompatibilità ambientale”, ndr). Il caso è molto grave. Fortuna che presso il Consiglio superiore della magistratura è stata aperta un indagine a suo carico».

In poche parole, come definirebbe la giustizia?
«Un’attività che riguarda gli esseri umani. Quindi, un’attività imperfetta per sua natura, una forma di mediazioni tra esseri umani, mossi da tensioni e pulsioni, un agone di combattimento. Significa che l’esito della sua applicazione è arduo, ma questa naturalmente non è una buona ragione per rinunciarvi».

Come senatore del Pd, un bilancio della sua attuale esperienza politica.
«Metto in cima a tutto il mio ruolo di presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani, che cerco di onorare al meglio in tutte le sedi e i contesti. Si pensa che la questione dei diritti umani riguardi solo i Paesi arretrati ed esotici, invece riguarda anche le democrazie avanzate. Questo è il principale motivo ispiratore della nostra azione».

Luigi Manconi presenta il suo libro «Abolire il carcere» il 2 marzo alla Ubik di Busto Arsizio, alle ore 21 in piazza San Giovanni.

Pubblicato: Martedì, 01 Marzo 2016 17:34

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