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Caso Cucchi, la svolta ?nelle parole dei Carabinieri

art esp 18 dicl'Espresso, 18-12-2015
Roberto Saviano

Il comunicato del Comandante dell’Arma è uno spartiacque. E dà la certezza che i responsabili di reati, anche se in divisa, non saranno più protetti

Caso Cucchi. Caso aperto. Di nuovo. Grazie alle persone coinvolte, alla loro tenacia e al loro senso della giustizia. Ilaria Cucchi e Fabio Anselmo, rispettivamente sorella di Stefano e avvocato della famiglia Cucchi. Da quando Stefano è stato arrestato per detenzione e spaccio di stupefacenti, da quando Stefano è morto, non hanno mai smesso di avere fiducia nella possibilità di trovare un percorso di verità. Non hanno mai smesso di dialogare con le istituzioni. Non hanno smesso di spiegare le loro ragioni. Non hanno mai smesso di coinvolgere l’opinione pubblica perché prendesse coscienza che non si può morire quando ci si trova in custodia dello Stato.

Il Procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, uomo di Stato, che ha saputo ascoltare e tradurre in azioni le promesse fatte, avviando un’inchiesta bis per appurare cosa sia accaduto a Stefano Cucchi dopo l’arresto nella stazione Appia dei Carabinieri di Roma.

E poi l’Arma dei Carabinieri che ha diffuso un comunicato stampa che è un documento rivoluzionario. Notizia epocale percepita troppo in superficie sino ad oggi come la volontà di difendersi in extremis da una valanga indiscriminata di accuse. Non credo sia cosi, io ci leggo altro. «È una vicenda estremamente grave. Grave il fatto che alcuni Carabinieri abbiano potuto perdere il controllo e picchiare una persona arrestata secondo legge per aver commesso un reato, che non l’abbiano poi riferito, che altri abbiano saputo e non abbiano sentito il dovere di segnalarlo subito, che questo non sia stato appurato da chi ha fatto a suo tempo le dovute verifiche, se tutto questo sarà accertato. Grave il fatto che queste cose possano emergere soltanto a partire da oltre sei anni dopo, nonostante un processo penale celebrato in tutti i suoi gradi».

Con queste parole, il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Tullio De Sette, non esprime un pensiero alieno agli appartenenti all’Arma - io vivo sotto scorta dei carabinieri da quasi dieci anni e so cosa provano quando atti di violenza commessi da loro colleghi gettano discredito sul loro intero lavoro - ma mette tutto per iscritto, fornendo un nuovo statuto che funge da spartiacque dentro la lunga e complessa storia dell’Arma. Non potrà più esistere sindacato o associazione che difenda chi ha sbagliato, perché l’Arma lo isolerà. Questo documento non prova a nascondere le responsabilità dietro i soliti argomenti, ossia le condizioni difficili in cui operano le forze dell’ordine, i pochi soldi, le pressioni, il contesto. Argomentazioni spese spesso per cercare una sorta di comprensione verso gesti criminali che, benché vietati e sanzionati, poi in fondo sono giustificati dalla situazione particolare del singolo uomo in divisa. In questo documento invece non si cerca né di giustificare né di difendere comportamenti sbagliati. Ecco le parole esatte dei Carabinieri: «Siamo rattristati e commossi dalla triste vicenda umana di Stefano Cucchi, prima e dopo quel 15 ottobre 2009, addolorati delle sue sofferenze, della sua morte, quali che siano le cause che abbiano concorso a determinarla, vicini ai suoi familiari». Perché Stefano Cucchi da soggetto penalmente perseguibile è diventato vittima, e su questo non può esserci alcun dubbio. Che nessuno si azzardi più a chiamarlo tossico, drogato, spacciatore. Che nessuno metta più in relazione la sua morte ai motivi dell’arresto. Tra l’arresto e la morte non doveva esserci alcuna relazione, alcun rapporto di causa ed effetto. Nel nostro Paese non vige la pena di morte.

E ancora: «Rispetto, perciò, per tutto questo e determinazione nel ricercare la verità, nel perseguire quelli che potranno risultare responsabili di reati, di condotte censurabili sotto ogni profilo». Rispetto, determinazione nel cercare la verità e nel perseguire chi avrà commesso reati: parole importanti che marcano una direzione che non è nuova in passato anche si è agito così in situazioni simili, ma che ora non può essere più equivocata o elusa. Ma che con la vicenda Cucchi è importante ribadire.

Se la nuova perizia medico-legale chiesta dalla Procura di Roma dovesse accertare che Cucchi nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 ha subito violenza, le parole del Comandante Del Sette e questo documento ci danno sin da ora la certezza che le mele marce saranno allontanate senza tentativi di protezione, rompendo l’istinto corporativo. A tutela della dignità di un Corpo che è spesso unico Stato dove lo Stato non c’è.

Pubblicato: Venerdì, 18 Dicembre 2015 11:32

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